Anche quest’anno si è consumato il rituale dell’approvazione della legge di Bilancio a marce forzate con il solito maxiemendamento presentato dal Governo su cui è stata posta la questione di fiducia. Le Assemblee legislative ne escono, ancora una volta, umiliate e costrette a ratificare ciò che si è deciso non alla luce del sole ma nel segreto della Commissione Bilancio.
Su queste pagine ho già illustrato la necessità di riformare radicalmente l’iter della principale legge proposta annualmente dal Governo. Ma temo che l’anno venturo si replicherà lo spettacolo poco edificante che ormai va in scena da anni e che produce norme confuse, approssimative, scritte male, in fretta e senza un adeguato confronto né con le parti interessate né in un pubblico e approfondito dibattito nelle Aule di .
Ma ora Conte deve guardare avanti.
Il Governo ha bisogno di un colpo d’ala per riprendere quota se non vuole soccombere negli agguati della sua stessa maggioranza che sicuramente non mancheranno nelle prossime settimane.
Esistono varie scuole di pensiero. Alcuni sostengono che ci sarebbe un malcelato desiderio di andare al voto prima che il taglio di deputati e senatori possa essere effettivamente applicato. In questo scenario si può decidere di votare il prima possibile o di tirare in lungo senza apportare le modifiche ai collegi e alle circoscrizioni, indispensabili perché il taglio dei parlamentari possa essere applicato senza violare alcune norme della Costituzione.
Per votare subito, occorre un accordo trasversale tra maggioranza e opposizione basato su uno scambio: concedere le elezioni anticipate in cambio di una modifica alla legge elettorale che elimini la quota maggioritaria che oggi avvantaggerebbe molto Salvini. L’accordo non è impossibile. Una legge proporzionale con una bassa soglia di sbarramento non spaventerebbe nessuno e si potrebbe votare in meno di un mese.
In questo scenario la vita del Governo Conte avrebbe le ore contate: se si vuol votare in primavera occorre rapidamente modificare la legge elettorale, far dimettere il Governo e aspettare l’inevitabile scioglimento delle Camere: Mattarella non farà nascere un nuovo Governo.
Se invece si vuol tirare avanti non si può andare oltre il luglio del 2021, quando scatta il semestre bianco (sei mesi prima della scadenza del mandato di Mattarella, il 31 gennaio 2022) durante il quale le Camere non possono essere sciolte.
In questo scenario, Conte avrebbe davanti un altro anno e mezzo di presenza a Palazzo Chigi.
E in questi mesi bisogna governare, e pure bene, se non si vuole rischiare una sonora bocciatura degli elettori.
Ma c’è un’altra scuola di pensiero che ritiene indispensabile eleggere con questa maggioranza il prossimo Presidente della Repubblica. In questo caso, il Governo dovrebbe reggere fino alla primavera del 2022, quindi per altri due anni.
Per questo il Presidente del Consiglio deve decidere se vivacchiare e farsi impallinare subito o invece dare slancio alla coalizione e nei prossimi 18/24 mesi realizzare alcune riforme radicali per imprimere all’Italia una spinta allo sviluppo.
L’interesse del Paese è essere governato senza incertezze in un quadro di stabilità politica. L’interesse dei singoli partiti può essere diverso.