Nel linguaggio delle istituzioni parlamentari e governative sono entrate da tempo queste tre espressioni che i Padri Costituenti non avrebbero mai immaginato potessero diventare la regola della produzione normativa.
Nulla di più oscuro, complicato e impraticabile.
La principale legge, che ogni anno impegna il Parlamento per almeno due mesi e definisce la politica di Bilancio, viene approvata in fretta e furia con un voto di fiducia su un maxi emendamento formato, quest’anno, da un articolo e 884 commi, senza che le Assemblee legislative possano discuterne in maniera approfondita e con tempi ragionevoli.
A questo scempio segue a ruota un provvedimento che è lo specchio dei ritardi nella produzione normativa, il famoso decreto legge Milleproroghe, che dal titolo fa intendere quanta incertezza ci sia sul rispetto di termini fissati per legge.
C’è poi l’espressione “salvo intese” che è l’indicatore della massima vaghezza e provvisorietà degli stessi provvedimenti varati dal Consiglio dei Ministri: come dire che il Governo approva dei testi che non hanno il consenso definitivo dei vari Ministri e che, quindi, possono essere modificati. In nessuna assemblea di condominio sarebbe mai accettata una procedura del genere. Ma a Palazzo Chigi si può.
Se mettiamo insieme queste tre follie abbiamo la misura del decadimento della qualità della produzione normativa italiana. E dire che i Gabinetti dei Ministri pullulano di grandi esperti delle leggi e che Camera e Senato si avvalgono delle competenze di staff di altissima qualità.
Eppure, tra i tanti segnali di declino della democrazia italiana bisogna annoverare proprio lo scadimento della qualità e della stessa efficacia delle norme.
In uno Stato di diritto la qualità della norma è il termometro del benessere della democrazia. E da noi, evidentemente, questo termometro indica la presenza di un malessere profondo.
A queste tre anomalie bisogna aggiungere la quantità esorbitante di decreti legislativi cui le leggi delegano la completa definizione delle norme approvate dal Parlamento; gran parte di questi decreti legislativi vengono approvati con molto ritardo e altri, per i quali non esistono termini perentori, si accumulano in una lunga lista di attesa interminabile lasciano così le leggi varate dal Parlamento in una sorta di limbo: ci sono ma non si possono applicare!!!
Si può andare avanti così? Certo che si può, ma si squalifica la vita democratica, si producono norme raffazzonate e incomplete, spesso contraddittorie e come tali inefficaci, si legifera con ritardo sui problemi da risolvere.
Si crea così un cortocircuito pericoloso che inocula dubbi sull’efficacia della democrazia rappresentativa e alimenta spinte verso l’autoritarismo, che in piena era populista attecchisce con estrema facilità.
Di questo non pare si rendano conto i politici che sono in gran parte responsabili di questo groviglio normativo. E, ciò che stupisce di più, non si intravvede una forma di resistenza a questo mal costume da parte dei grand commis d’état che collaborano alla stesura delle norme e che, più dei politici, hanno sicuramente consapevolezza di quanto sia anomalo questo modo di procedere.
La malattia è più grave di quanto non sembri e bisogna curarla subito se non si vuol correre il doppio rischio di avere norme inefficaci, che non risolvono ma complicano i problemi, e tendenze autoritarie, che mettono in discussione la stessa sopravvivenza della democrazia pluralista.
Costituzionalisti, esperti della legislazione, politici avveduti e opinion leaders dovrebbero avviare una forte iniziativa per denunciare questo malcostume e per proporre rimedi concreti.