Il Governo al ritorno del premier dal vertice di Bali, si dice pronto ad affrontare il tema pensioni. L’ipotesi – con l’uscita di scena a fine anno di Quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi) – che sarà presentata ai sindacati è quella indicata come Quota 103 (62 anni e 41 di contributi). Una mediazione tra le richieste della Lega: 61 anni e 41 di contributi, e l’idea che sarà messa in campo dal Ministero dell’economia, che di fatto prevede solo un anno in più di età, cioè 62 anni e 41 di versamenti. Sono calcoli e indicazioni che i sindacati osservano con una certa diffidenza in quanto non si parla delle risorse che saranno messe in campo. Cgil, Cisl e Uil insistono nel recuperare i miliardi necessari tassando gli extra profitti. “Bisogna intensificare la lotta all’evasione fiscale ed aumentare la tassazione sugli extraprofitti”, sollecita il leader della Cisl, Sbarra, “allargandola anche alle multinazionali della logistica e dell’economia digitale”.
Un segnale di difficoltà
Che sul tema risorse il Governo è in affatto appare cosa nota, il segnale però arriva dalla cancellazione degli incentivi per rinviare i pensionamenti. Rinvio ipotizzato nei giorni scorsi. In altri versi l’idea di far rimanere al lavoro chi poteva andare in pensione con uno stipendio più alto frutto della decontribuzione. Ci guadagnava il lavoratore e si sarebbe evitato il depauperamento delle professionalità nelle aziende. L’ipotesi, salvo una scelta politica diversa, è stata accantonata per i costi ritenuti alti e che non avrebbero coperto la spesa.
Conferme Ape e Opzione donna
Il via libera invece arriverà per Opzione donna e Ape sociale. La prima misura prevede il pensionamento, con il ricalcolo contributivo dell’assegno, alle lavoratrici in possesso di 58 anni d’età (59 se provenienti dal lavoro autonomo) e 35 anni di contributi. Mentre per Anticipo pensione sociale, le maglie sono state allargate per alcune categorie di lavoratori in particolari difficoltà, come disoccupati di lungo corso, i caregiver o gli invalidi civili. Ape sociale, permetterà l’uscita a 63 anni e 30 anni di contribuzione. L’Ape sociale resterà in vigore per il 2023 e per quanti esercitano attività rischiose e pericolose, l’età resta 63 anni e 36 anni di versamenti. Così come restano in vigore i 32 per gli operai edili, per i ceramisti e conduttori di impianti per la formatura di articoli in ceramica e terracotta. Rimane fissata a 67 anni con almeno 20 anni di contribuzione, la pensione di vecchiaia. Con una soglia leggermente più bassa per quanti in possesso di 30 anni di versamenti, a 66 anni e 7 mesi di contribuzione se impegnati in lavori gravosi.
Il metodo contributivo secco
L’impianto della previdenza così delineato resta ancorato sostanzialmente alle indicazioni dell’ex Governo Draghi, che l’ex premier sintetizzò nella formula: più si è versa più si ottiene. Formula che permette la via “ordinaria” di uscita. Ossia in quiescenza con 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva (41 anni e 10 mesi per le donne) a prescindere dall’età anagrafica.
Il disappunto dei sindacati
Tra ipotesi e conferme i sindacati attendono il confronto sui numeri e la dote finanziaria che sarà dedicata alla riforma. Il clima rimane quello di attesa e di diffidenza. “Sulle pensioni non so che cosa voglia fare il Governo, mi limito a registrare che ci sono tante proposte. Forse troppe”, osserva il segretario della Uil, PierPaolo Bombardieri, “Le quote non danno risposte adeguate. Non si possono cambiare le regole continuamente”. “Noi, invece, pensiamo che sia necessaria una riforma strutturale”, sollecita Bombardieri, “attenta ai giovani che fanno lavori precari e che devono poter contare su una pensione di garanzia domani, che dia risposte alle donne, i cui problemi sono spesso avvolti dalla retorica delle pari opportunità. Così come pensiamo che bisogna studiare una flessibilità in uscita a partire dai 62 anni”.
Riflettori sul cuneo fiscale
Una delle misure più attese da aziende e sindacati nella legge di Bilancio che otterrà il via libera del Governo entro fine mese è il taglio del cuneo fiscale contributivo. Confindustria e sindacati sono attenti alla decisione del Governo sulle risorse che saranno liberate, ma con obiettivi diversi. Cgil, Cisl e Uil premono affinché il taglio vada tutto a favore dei lavoratori, perché, osservano “le aziende hanno già avuto tantissimi aiuti economici”. Intervento choc invece quello chiesto dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi. “Riteniamo fondamentale l’intervento sul taglio cuneo fiscale, abbiamo un cuneo fiscale troppo alto, il 46,5%. C’è una fascia, quella sotto i 35mila euro, che sta soffrendo, noi dobbiamo mettere più soldi in tasca. Serve intervento choc, servono 16 miliardi, due terzi ai dipendenti e un terzo alle imprese. Significa mettere 1200 euro in tasca in più ai lavoratori”.
La posizione del Governo
Infine sul taglio del cuneo fiscale e la distribuzione delle risorse il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, ha anticipato la proposta del Governo, mantenendo una certa prudenza. “Sarà per due terzi per il lavoratore e per un terzo per l’azienda. La rotta tracciata è sicuramente quella del taglio al cuneo fiscale”, osserva D’Urso, “siamo consapevoli che è quello che serve e siamo certi che avverrà, gradualmente nel tempo, per incentivare il lavoro nel nostro Paese”.
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