domenica, 22 Dicembre, 2024
Società

“Senza giustizia non c’è pace”

Ieri si è svolta a Roma la manifestazione nazionale per la pace, promossa da “tante donne e ai tanti uomini che – dopo 260 giorni di guerra – non credono che la via delle armi possa portare la pace”. Negli appelli alla pace che sono riecheggiati nella grande piazza di San Giovanni in Laterano c’era, purtroppo, molta ambiguità. Occorre essere chiari: Chi sarebbe così folle da non sottoscrivere un appello per la pace? Eppure, quando si invoca la pace occorre rivolgersi senza tentennamenti a chi la guerra l’ha fortemente voluta e scatenata, ossia alla Russia di Vladimir Putin.

Le dittature si nutrono di paura. Non solo quelle dei propri cittadini, vessarti da leggi oppressive che tolgono loro ogni possibile libertà civile, ma anche quelle dei popoli dei Paesi democratici in cui cercano di instillare, attraverso campagne di disinformazione e di influenza, la convinzione che tutto possa finire in un attimo se solo i loro governanti decidessero di lasciare l’Ucraina al proprio destino.

Queste intimidazioni prevalgono se riescono a insinuarsi nelle crepe che si formano inevitabilmente del versante opposto. Crepe spesso motivate dall’assuefazione ad un conflitto che va avanti oramai da mesi, ma soprattutto alimentate dalle paure per i rincari energetici, per l’inflazione e per il futuro che ci attende.

Però non si può invocare la Pace, rivolgendosi tanto alle “vittime” quanto ai “carnefici” come se fossero nelle stesse condizioni di decidere se fermare o meno il conflitto. Non fare differenza tra l’aggredito e l’aggressore sarebbe immorale e profondamente ingiusto.

Chissà se il “popolo della Pace” sceso in piazza ieri ha avuto modo di leggere una notizia – per la verità è passata quasi sotto silenzio in Italia – che parlava della decisione del Consiglio di fondazione del Premio per la Pace del commercio librario tedesco, di assegnare allo scrittore, poeta, traduttore e musicista ucraino Serhiy Zhadan il prestigioso “Premio per la Pace”. Illuminanti le parole scelte dagli organizzatori del premio per spiegare questa designazione: “Onoriamo questo autore e musicista ucraino per il suo eccezionale lavoro artistico e per la sua inequivocabile posizione umanitaria, che lo motiva ripetutamente a rischiare la propria vita per aiutare le persone colpite dalla guerra e quindi a richiamare maggiore attenzione sulla loro difficile situazione. Nei suoi romanzi, saggi, poesie e testi, Serhiy Zhadan ci introduce in un mondo che ha subito un cambiamento radicale ma continua a vivere di tradizione. Le sue storie illustrano come la guerra e la distruzione entrano in questo mondo e sconvolgono la vita delle persone. In tutta la sua opera, usa un linguaggio unico che ci fornisce un ritratto vivido e differenziato della realtà che molti di noi hanno scelto di ignorare per troppo tempo. Premuroso e con la precisione di un vero ascoltatore, in un tono poetico e radicale, Serhiy Zhadan rivela come il popolo ucraino sfida la violenza che lo circonda, sforzandosi invece di condurre una vita indipendente radicata nella pace e nella libertà.”

Dovremmo riflettere anche sulle parole che ha pronunciato Serhiy Zhadan in occasione della Cerimonia di premiazione: “Ora, quando si parla di pace di fronte a questa sanguinosa e drammatica guerra scatenata dalla Russia, alcuni non vogliono riconoscere un semplice fatto: senza giustizia non c’è pace. E quando alcuni europei accusano gli ucraini, come se il loro rifiuto di arrendersi fosse quasi un’espressione di militarismo e radicalismo, stanno facendo qualcosa di strano: cercando di rimanere nella loro zona di comfort, stanno in modo circostanziato oltrepassando il limite dell’etica. Questa non è una domanda per gli ucraini, questa è una domanda per il mondo. Alla loro disponibilità, esistente o inesistente, a causa di discutibili vantaggi materiali e di una falsa volontà di pacifismo, a ingoiare ancora una volta il totalmente disinibito e indegno”.

Siamo così assuefatti alla violenza con cui la Russia sta martoriando l’Ucraina che il suono delle parole dei testimoni si è progressivamente affievolito, fino ad essere quasi del tutto inascoltabile alle nostre orecchie. La portata delle evidenze che vengono quotidianamente svelate in questo conflitto ci devono richiamare a solidarizzare con gli invasi, aiutare le vittime a difendersi, e cioè a liberarsi dall’invasore e chiedere giustizia. Per i giustiziati, i torturati, le donne stuprate, gli anziani lasciati morire, e per i ponti distrutti, le strade danneggiate, le scuole rase al suolo, le fosse comuni, le condotte idriche frantumate.

Val la pena ricordare a chi è sceso in piazza ieri, che le truppe russe hanno devastato terreni agricoli, distrutto attrezzature, minato i terreni fertili, danneggiato le rotte di rifornimento, bloccato i porti, tagliato l’elettricità e distrutto le centrali elettriche, interrotto le forniture di acqua e di gas, distrutto magazzini di cibo, e depositi alimentari. Colpito consapevolmente i mezzi dei corridoi umanitari e le code dove le persone aspettavano la distribuzione di pane e aiuti alimentari, ucciso volontari, massacrato civili.

Alcuni sostenitori dello stop all’invio di armi credono che sfilandosi dalla guerra diminuiranno i combattimenti e si morirà di meno. In senso assoluto ciò è vero, ma attenzione a non confondere l’assenza di conflittualità, dovuta alla resa incondizionata all’aggressore, con la Pace. Non sono concetti sovrapponibili. Accettare una simile pace farebbe venir meno tutti i valori che fino ad oggi hanno sostenuto la nostra idea di democrazia, autodeterminazione e libertà. Un mondo giusto è l’unico nel quale una vera pace sia realmente possibile, perché senza giustizia non c’è Pace.

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