lunedì, 16 Dicembre, 2024
Esteri

Iran, il rischio di una strategia della tensione

Attentati terroristici danno al regime l'alibi per aumentare la repressione

Cosa resta di un corpo dopo 40 giorni? E cosa resta se a quel corpo giovane il tempo di spendere il proprio peso nel mondo è stato sottratto in un attimo come si strappa un’ala di farfalla? Cosa resta, ancora, se quel corpo è stato nascosto, mortificato, costretto al bavaglio colpevole della sua innocente bellezza? Cosa resta di Masha passata dal nascondiglio dello Hijab al nascondiglio della terra? Quello che resta è una tragica gloria, è una potenza transitiva, che passa di voce in voce, che si moltiplica sulle bocche dei suoi fratelli iraniani, che valica confini e nazioni, che risuona come solo ciò che è veramente eterno ha il potere di risuonare: la verità.

La voce silenziata di Mahsa è diventata un uragano che parla attraverso milioni di bocche in tutto il mondo, perché, come scriveva Forough Farrokhzad, “è solo la voce che resta”. Una voce che sta scuotendo dalle fondamenta il regime iraniano. È forse per questo che il regime ordina di sparare persino sulla memoria? La cancellazione si conferma essere l’unica pratica coltivata da chi avrebbe dovuto coltivare la vita del suo popolo. Il 26 ottobre scorso 100mila persone, nonostante il governo avesse chiuso le strade, si sono incamminate verso il cimitero Aichin di Saqqez, nella provincia del Kurdistan iraniano, per rendere gli onori alla tomba di Mahsa Amini, la prima vittima di quest’ultima mattanza di regime in Iran. Questo rituale, che si compie a 40 giorni dalla morte di un essere umano, in Iran, è una cerimonia di importanza centrale, utilizzata sia fra sciiti che sunniti, ma la risposta del regime è stata di violenza e repressione. Volevano uccidere Mahsa due volte, ma la gente ha continuato ad avanzare, nonostante le pallottole e i lacrimogeni sulla folla, che invocava Mahsa e disprezzava il dittatore. Fin’ora la stima è di due donne morte. Quello che non comprende il regime, nella sua follia assassina, è che sta assassinando se stesso. Già durante la Rivoluzione del ’78/79, cominciando dal venerdì nero dell’8 settembre 1978 dove i militari uccisero 64 persone, la rivolta, di sangue in sangue versato durante i rituali, condusse al crollo della monarchia Pahlavi.

L’attentato avvenuto lo stesso giorno della commemorazione per Mahsa, sembra avvalorare questo scricchiolio delle fondamenta di regime. Presso il santuario di Shah Cheragh a Shiraz, che ospita la tomba di Ahmad, fratello dell’Imam Reza, l’ottavo imam sciita sepolto a Mashhad, nel nord-est del paese, è stato compiuto un attacco terroristico da tre uomini armati, che sono entrati nel cortile e hanno sparato sui fedeli, uccidendo 40 persone, tra cui donne e bambini. L’attacco è stato rivendicato dall’Isis, che nel comunicato afferma “. L’attacco a un tempio dell’idolatria dei Rafidi (dispregiativo di musulmani sciiti) nella città di Shiraz ha provocato 40 morti e feriti. Questa sera i soldati del Califfato, per grazia di Dio Onnipotente, hanno compiuto un’operazione contro un tempio politeista. Lode a Dio”. Abbiamo chiesto a Nima Baheli, analista geopolitico e cultore della materia presso la Sapienza la sua impressione su questo attentato:

“Al momento in relazione al sanguinoso attentato, ci sono due linee di analisi. Una linea di analisi reputa che, a seguito di queste proteste, gli apparati di sicurezza iraniani e gli apparati di intelligence, alle prese con le proteste, avrebbero abbassato la guardia e di questo abbassamento di guardia avrebbe approfittato l’Isis per fare l’attentato. L’altra visione, egualmente diffusa, all’interno dell’opinione pubblica iraniana, ipotizza che il governo iraniano, non essendo in grado di gestire le proteste civili, abbia cercato di ricorrere a una strategia della tensione di stanza iraniana. Il perché di questa strategia della tensione può essere ricollegabile al fatto che, come successo nella guerra degli otto anni, negli anni ’80, contro l’Iraq, nel momento in cui si palesa un nemico esterno, si può cercare di ottenere l’appoggio della popolazione, unanime contro la minaccia esterna. Questo, in qualche maniera è intuibile anche dalle dichiarazioni fatte dal Presidente della Repubblica Raisi, che sottolineano che il nemico ha approfittato delle tensioni interne per compiere gli attentati.”

L’unica cosa che sembra dimenticare il Presidente è che nessun nemico esterno è una coperta abbastanza lunga da coprire le mani del regime, sporche del sangue delle sue donne, dei suoi figli.

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