Sovraccarico, condizioni di lavoro impossibili, frustrazioni emotive, economiche e di carriera. Non manca nulla nel catalogo del disagio e risentimento dei medici sulle condizioni di lavoro. “In Italia, 7 medici al giorno lasciano gli ospedali e la maggioranza lavora nelle unità di pronto soccorso”, fa presente Pierino Di Silverio, segretario nazionale del sindacato dei medici, Anaao, che spiega la situazione difficile in cui continua a rotolare il Servizio sanitario nazionale. Un elenco di problemi che a livello di Ministero passeranno il testimone dall’ex ministro Roberto Speranza al nuovo responsabile del dicastero della Salute, Orazio Schillaci, rettore dell’Università di Roma Tor Vergata, a cui il sindacato Anaao riserva gli auguri di buon lavoro. Il nuovo Governo avrà tra le priorità la diaspora dei medici e personale ospedaliero, un crollo che lascia una scia di preoccupazioni e problemi irrisolti nel Sistema sanitario nazionale. Secondo le ultime stime, in Italia mancano all’appello 5mila medici, 11mila infermieri e più di 23mila operatori sanitari di altri settori, per un totale di circa 40mila unità.
Pronto soccorso, la prima linea
Ci sono settori dove la situazione è particolarmente grave.
“Il pronto soccorso italiano è malato”, sottolinea Pierino Di Silverio, che torna su un argomento delicato la cui soluzione, “non può essere ancora una volta rinviata”. Le motivazioni, infatti, sono sul tavolo da anni. “Condizioni di lavoro impossibili, scarsa organizzazione, turni massacranti, paghe basse”, osserva Pierino Di Silverio, “un mix letale di fattori oscura il fascino di una specializzazione che in passato era molto ricercata dai giovani medici per l’adrenalina, il ritmo veloce e le infinite opportunità di apprendimento”.
Emergenza e urgenza, la crisi
Il sindacato paria con statistiche e numeri inappuntabili. Anche quest’anno e anche l’anno scorso, quasi il 50% dei posti di medicina di emergenza e urgenza non viene utilizzato, calcola Di Silverio, dall’altra parte, chi lo utilizza in parte decide di abbandonarla. “In queste condizioni”, osserva il sindacato, “il medico del pronto soccorso sarà una chimera, una merce rara”. Lo scenario illustrato dall’Anaao ha molte sfaccettature: “i giovani medici impazienti di cambiare reparto”, elenca l’Associazione nazionale aiuti e assistenti ospedalieri,
“giovani dottori dei pronto soccorso sembrano impazienti di andare altrove: in altri reparti, altre città o anche all’estero, ovunque sentano di essere trattati con il rispetto dovuto alla loro professione”.
Il racconto di una pediatra
I casi personali e le necessità sono raccolte dall’Associazione, come la storia di Angela Mauro, pediatra che dopo 4 anni di lavoro in un pronto soccorso pediatrico di riferimento a Napoli, ha deciso di trasferirsi a Milano, in un altro reparto. “Da quando non lavoro più in pronto soccorso”, racconta “la mia qualità di vita e di lavoro è completamente cambiata, sia in termini di stress che di soddisfazione. Io ora posso studiare davvero un paziente. E studiare un paziente significa trattarlo nel migliore dei modi e quindi curarlo meglio. E questa è la soddisfazione di un medico”.
La frustrazione dei medici
Al pronto soccorso per un brufolo. La frustrazione dei medici è legata anche alla percezione delle persone del ruolo del pronto soccorso e la mancanza di un filtro efficiente sul territorio. Oggi si va al pronto soccorso anche per una febbre lieve o un brufolo. “Il pronto soccorso dovrebbe fare l’emergenza”, spiega ancora la pediatra, “dovrebbe occuparsi dei pazienti a rischio, che presentano livelli di gravità superiori a quelli di cui si occupa un medico di famiglia. Purtroppo anche questo è motivo di insoddisfazione dei medici che lavoro in pronto soccorso”.
Orari doppi in corsia
“Azzerato il nostro tempo ‘da esseri umani’. Lavoriamo quasi il doppio di quanto dovremmo”, dicono i medici che si sono rivolti all’Anaao. Alla questione economica si aggiunge non solo quella del riconoscimento professionale, ma anche un problema che il Covid ha aggravato: il tempo lavorativo. “Dietro ogni medico c’è un essere umano”, commenta Di Silverio, “E ormai oggi noi quel tempo da essere umano, da padre, da madre, da nonno, da amico non l’abbiamo più, perché l’orario di lavoro non viene rispettato. Noi dovremmo lavorare 38 ore, 34 più 4 di aggiornamento, a settimana, ma la media di lavoro, secondo il nostro ultimo sondaggio, sono 65 ore a settimana”.
La Sanità commissariata
Per l’Associazione nazionale aiuti e assistenti ospedalieri, tra i problemi e le incomprensioni persiste una anomalia italiana, che l’Anaao sintetizza così: la sanità di fatto commissariata dal Ministero dell’Economia.
“Nonostante non abbia un’età avanzata”, scrive il segretario nazionale del sindacato medico, “se io sono stanco di ascoltare alcuni discorsi, immagino quanto lo sono i medici e quanto lo siano i pazienti, i cittadini: cambiare tutto per non cambiare niente, in un ministero della Salute di fatto commissariato dal ministero dell’Economia e delle Finanze“.
Gli investimenti mancati
“Continuiamo a parlare quotidianamente di cure per il cittadino senza pensare a investimenti strutturali”, contesta Di Silverio, “e il Covid non ha lasciato alcuna esperienza, se non quella di chi ci ha rimesso la vita per curare la gente, ovvero i medici e i dirigenti sanitari”.