Il cammino di Fed e Bce è destinato a essere diverso: negli Usa l’inflazione è scesa a settembre per il terzo mese consecutivo all’8,2% su base annua, dopo l’8,3% di agosto, l’8,5% di luglio e il 9,1% di giugno. Anche l’inflazione core, cioè al netto di cibo ed energia, è arrivata al 6,6% (dal 6,3% di agosto), un valore superiore rispetto alle previsioni del 6,5%. Le banche centrali con le loro azioni hanno già portato le condizioni finanziarie in territorio restrittivo per generare nei prossimi trimestri una recessione in Usa ed Eurozona; permane ancora l’incognita del mercato del lavoro ancora molto forte. Secondo molti analisti siamo prossimi alla fase terminale del percorso di rialzo dei tassi, in quanto si evidenziano i primi effetti collaterali derivanti dal rialzo dei tassi: il rapporto Debito/Pil a livello globale ha superato il 350%; ulteriori rialzi potrebbero creare una situazione economicamente insostenibile per imprese e governi.
L’Eurostat ha diffuso il dato finale sull’andamento dei prezzi al consumo in area euro ad agosto 2022. L’inflazione ha registrato nell’area euro un incremento annuale del 9,1%, rispetto al +8,9% di luglio e al +3% dello stesso mese del 2021. Perciò la Bce dovrebbe essere più cauta della Fed nei rialzi dei tassi, in modo da evitare conseguenze troppo pesanti per l’economia. Sarà così?
La forte correlazione tra azioni, obbligazioni e dati sul mercato del lavoro (Usa)
A settembre gli indici azionari Usa hanno chiuso in correzione di quasi 10%, portando le discese da inizio anno, in media, tra il 20 e il 25%. Non va meglio sul mercato del reddito fisso, dove i rendimenti sul bund tedesco si attestano sopra il 2%, il Btp decennale vicino al 5% e i Treasury a 10 anni quasi al 4%.
Da inizio anno anche gli indici obbligazionari registrano forti discese, spesso oltre il 15.In questo scenario, ecco di seguito la view di Fabrizio Santin, Senior Investment Manager di Pictet AM.
L’evoluzione in ambito macro, invece, registra una continua solidità del mercato del lavoro Usa, testimoniata dai dati di inizio ottobre con nuovi impieghi tra i 250,000 e i 300,000 posti di lavoro creati e crescita media dei salari intorno al 5%. In questa fase, però, la reazione dei mercati è contraria: dati forti inducono a pensare che la Fed prosegua ancora più speditamente con l’inasprimento monetario rispetto a quanto fatto fino ad ora.
La Fed ha ribadito che proseguirà la politica di rialzi fino a che l’inflazione non tornerà stabilmente verso il target del 2%. I dati sull’inflazione continueranno pertanto a essere cruciali per il mercato. Negli Usa, la componente energia sta rientrando dopo la correzione dei prezzi del petrolio.
Le insidie del Market Timing e l’importanza della visione d’insieme
Il mercato può essere estremamente imprevedibile anche nei momenti migliori; fare market timing anticipando le variazioni di mercato è difficile anche per gli investitori più esperti e, in un contesto di crisi, questo è ancora più difficile. L’andamento delle azioni durante e subito dopo i periodi caratterizzati da un elevato rischio geopolitico dimostra come sebbene i titoli azionari abbiano dimostrato la propria capacità di recuperare abbastanza rapidamente dopo la fine di una crisi, risulta quasi impossibile prevedere la fine della crisi.
Qualora dovessimo entrare in una recessione tecnica per qualche trimestre, come si potrebbero comportare i mercati? Cosa accadrà in futuro non è dato sapere, mentre è possibile fare considerazioni su ciò che è accaduto in passato: poiché la liquidità guida il mercato, l’ipotesi di rallentamento economico rafforza le probabilità di banche centrali più accomodanti favorendo la ripresa di valore degli asset.