Lunedì 10 ottobre sarà celebrata la 20a Giornata mondiale contro la pena di morte. Quest’anno è dedicato ai legami tra l’uso della pena capitale e la tortura, il trattamento crudele, disumano e degradante subito dalla persona condannata a morte. Il LIBANO continua a imporre la pena di morte.
Tuttavia, è uno di quegli abolizionisti de facto che non effettuano più esecuzioni. L’ultima risale al 2004. E il 16 dicembre 2020, per la prima volta nella sua storia, il LIBANO ha votato per una moratoria insieme ad altri 122 Stati, durante l’assemblea plenaria delle Nazioni Unite sulla pena di morte. Il 17 settembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è tornata ancora una volta sulla questione, citando le buone pratiche degli Stati membri e i percorsi verso la moratoria. L’occasione per l’ex ministro della Giustizia Ibrahim Najjar, anche vicepresidente della Commissione internazionale contro la pena di morte (ICPD), di spiegare in videoconferenza la decisione libanese, di fare il collegamento tra il voto per una moratoria e l’abolizione di fatto proponendo la moratoria come alternativa ai paesi islamici che non possono andare espressamente verso l’abolizione.
“Il Medio Oriente è una regione molto difficile, dove la religione, il terrorismo, le tensioni intraislamiche, la sopravvivenza problematica delle minoranze sono un pericolo per la pace e la libertà. L’abolizione della pena di morte non è sempre compatibile con l’Islam o con considerazioni religiose. Ecco perché votare per una moratoria può contribuire a sancire l’abolizione di fatto”, sottolinea Ibrahim Najjar. L’abolizionista riconosce che nella regione la pena capitale resta un problema e che non è facile fare una campagna contro di essa.
(ITALPRESS).