Nel 2021 il recupero della nostra economia nazionale, provata nel 2020 dalla pandemia, è stato netto, con un tasso di crescita del Pil del 6,7%, addirittura superiore di 0,1 punti percentuali in più rispetto alla stima calcolata nel 2022. Ancora più significativo se si pensa che nell’anno precedente, il 2020, si era, invece, registrato un calo del 9,0%.
Più consumi, meno risparmio. Non riparte l’agricoltura
A far ripartire i nostri conti è stata soprattutto la domanda interna, ben più forte di quella estera, conseguenza di un reddito disponibile delle famiglie consumatrici aumentato del 3,7% in valori correnti e del 2,1% in termini di potere d’acquisto. Di conseguenza, però, al crescere dei consumi privati (+6,9%), ne è derivata una flessione della propensione al risparmio delle famiglie, cresciuta significativamente durante le restrizioni per il Covid-19, passata nel 2021 al 13,1% dal 15,6% del 2020. Sul piano dell’offerta di beni e servizi, a ripartire sono state le attività industriali e la maggior parte dei comparti del terziario, mentre l’agricoltura ha faticato a riprendersi. Il valore aggiunto in volume è aumentato dell’11,5% nell’industria in senso stretto, del 21,6% nelle costruzioni e del 4,7% nel settore dei servizi, mentre è diminuito dell’1,3% nel settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca. Settori, quest’ultimi, che quest’anno saranno ulteriormente segnati dalla siccità e i fenomeni estremi climatici.
Diminuisce il Debito pubblico, ma pressione fiscale al 43,4%
Bene i conti delle Amministrazioni pubbliche, il cui indebitamento è risultato, nel rapporto sui “Conti economici nazionali. Anni 2019-2021” dell’Istat, pari al -7,2% del Pil, in netto miglioramento rispetto al 2020. Secondo i conti economici nazionali diffusi dall’ente di statistica, il debito è sceso lo scorso anno al 150,3% del Prodotto interno lordo, contro la precedente stima di 150,4%. Si tratta di un deciso miglioramento rispetto al picco di 154,9% toccato nel 2020 in piena emergenza Covid. Il risultato lo si deve in buona parte a un più contenuto aumento delle uscite, ma soprattutto al positivo andamento delle entrate. Difatti, la pressione fiscale complessiva (ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al Pil) è risultata pari al 43,4%, in aumento rispetto all’anno precedente (era 42,7% nel 2020), per un aumento delle entrate fiscali e contributive (+9,1%) superiore rispetto a quello del Pil a prezzi correnti (+7,3%).
Spesa famiglie sotto di 59.365 milioni rispetto a pre-pandemia. UNC: dati illusori
Amaro il commento dell’Unione Nazionale Consumatori, che alla luce delle calamità del 2022 (guerra in Ucraina, caro gas e inflazione alle stelle), vedono questi dati anacronistici e irreali, con famiglie sempre più provate da un potere di acquisto salariale più basso, un carrello della spesa più caro, schiacciati da tasse sempre più vicine al 50% delle proprie entrate. Quelli Istat sono “dati apparentemente positivi – commenta, infatti, Massimo Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori -, ma di un mondo che non c’è più”. “Nel 2021 era inevitabile un rimbalzo rispetto all’anno buio dei lockdown. Scontato, quindi, che la spesa delle famiglie residenti, che rappresenta quasi il 60% del Pil, il 58,2%, salisse in modo consistente, +5,2% in volume, dando un contributo del 3% alla crescita del Pil. Ma se rispetto al 2020 la spesa delle famiglie in valori concatenati è salita di 48.075 milioni, nel confronto con il 2019, ossia con i dati pre-pandemia, è ancora inferiore di 59.365 milioni. Insomma, non siamo nemmeno a metà percorso rispetto al recupero che il Paese deve fare”.