venerdì, 15 Novembre, 2024
Economia

Ripensare il capitalismo

Trenta anni fa, con la caduta del Muro di Berlino, la fine dell’Unione Sovietica e dei regimi comunisti sembrò che davvero la storia fosse “finita”, nel senso che l’epica contrapposizione tra capitalismo e comunismo, che aveva dominato la scena culturale, economica, politica e anche militare-strategica del mondo, si era conclusa con un vincitore e uno sconfitto.

Il capitalismo e l’economia di libero mercato, basata sull’iniziativa privata e la ricerca del profitto, avevano trionfato e non c’era altro da fare che lasciare che questo modello portasse avanti il mondo per i prossimi secoli.

L’11 dicembre del 2011 la Cina entrò nell’organizzazione mondiale del commercio, WTO, e questo passaggio storico segnò un’ulteriore conferma della validità del modello capitalista: se perfino il regime più rigidamente comunista, e che tale voleva restare nell’assetto politico, aveva scelto il libero mercato e l’iniziativa privata come strada per uscire dalla povertà e avviare uno sviluppo vorticoso, vuol dire che il capitalismo era davvero la manna per risolvere i problemi economico-sociali di tutta la popolazione mondiale.

È stato davvero così?

In realtà, già tre anni prima che la Cina sancisse la vittoria “finale” del capitalismo sul comunismo, nel 2008 il capitalismo aveva mostrato la fragilità di uno dei suoi pilastri principali, quello finanziario. Nel regno del capitalismo, gli USA, la crisi dei mutui subprime, il fallimento della Lehmann Brothers, il tracollo di banche, assicurazioni e colossi della finanza internazionale innescò uno spaventoso tsunami che travolse non solo i grandi gruppi americani ma le economie di tutti i Paesi capitalisti. Il capitalismo mostrò una delle sue crepe più gravi: l’esasperazione della ricerca del profitto a tutti i costi anche attraverso strumenti finanziari completamente staccati dall’economia reale e finalizzati alla generazione di guadagni stratosferici per pochi stregoni della finanza.

La follia di una finanza che creava una gigantesca economia di carta straccia e disseminava di virus contenuti in titoli apparentemente sicuri le economie di mezzo mondo è stato il punto più basso mai toccato dal capitalismo, una vergogna che resterà nella storia e che dovrebbe servire da monito per ripensare un modello basato solo sulla ricerca del profitto fine a sé stesso e a qualsiasi costo.

Le gravi conseguenze sociali che la crisi del 2008 ha provocato in numerosi Paesi, pensiamo in Europa soprattutto alla Grecia, ma anche al Portogallo, alla Spagna, e anche al nostro Paese e alla stessa Francia non ha stimolato alcun dibattito serio sulla natura del capitalismo contemporaneo, sui suoi valori e disvalori e si possibili correttivi da introdurre.

Gli Stati Uniti sono intervenuti con prontezza sulla crisi stampando un oceano di 800 miliardi di dollari; l’Europa ha invece messo in campo misure draconiane sui bilanci degli Stati e solo nel 2011 con l’arrivo di Mario Draghi alla BCE è cominciata una politica che evitato il soffocamento finale delle economie europee. ma né negli Stati Uniti né in Europa si è avviato un ripensamento sulle cause della grande crisi e sul modello capitalistico: sono stati trovati rimedi, molto efficaci negli USA, che sono in pochi anni tornati a grande crescita, poco funzionali in un’Europa che invece arranca con uno sviluppo frenato dalla incapacità di governare i debiti e i deficit degli Stati Membri con adeguate politiche di rilancio degli investimenti e con misure finanziarie che non era nei poteri di Draghi adottare.

Qualche studioso, Piketty, ha scritto, in chiave quasi neomarxistica, un’analisi molto critica del capitalismo moderno soffermandosi giustamente sulla ineguale e ingiusta distribuzione della ricchezza ma senza cogliere la complessità dei problemi di funzionamento della “macchina” capitalistica.

A riaprire in maniera coraggiosa il dibattito sul capitalismo ci ha pensato, invece, proprio il tempio dell’informazione liberale, il Financial Times, dal 2015 di proprietà del colosso editoriale giapponese Nikkei. Il suo direttore Lionel Barber ha lanciato una campagna per una nuova agenda di discussione sul tema: “Capitalism, time for a reset”.

Barber ha scritto che il modello del capitalismo liberale ha fornito pace, prosperità e progresso tecnologico negli ultimi 50 anni, riducendo in maniera consistente la povertà e facendo crescere gli standard di vita in tutto il mondo. Ma- aggiunge Barber- dalla crisi del 2008 il modello è entrato in crisi richiamando l’attenzione sul tema della massimizzazione dei profitti e del valore per i soli azionisti, principi del “good business” necessari ma non più sufficienti per assicurare il funzionamento del capitalismo e la soluzione dei problemi sia di quelli che finora ha saputo affrontare sia di quelli che lo stesso capitalismo ha contribuito a creare.

Su questi temi, La Discussione apre da oggi un dibattito aperto a tutti coloro che vorranno offrire spunti di riflessione e proposte. E’ nella natura di questo giornale valorizzare al massimo il confronto tra le posizioni anche quelle più divergenti. Per questo, sul tema “ripensare il capitalismo” da oggi chiediamo a chi abbia voglia di parteciparvi di inviarci il proprio contributo di idee che ospiteremo in un apposito spazio dedicato al dibattito

Siamo sicuri che La Discussione in questo modo fornirà un’occasione importante per introdurre nell’agenda culturale, economica e politica un tema di dibattito che aiuterà a guardare oltre quel che succede da qui a qualche mese e, se possibile, ad elevare anche la qualità del confronto di idee che -complice il pessimo uso che viene fatto della tv e dei social media- spesso è avvelenato da superficialità, demagogia e intolleranza.

Buona discussione a tutti.

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