“Dobbiamo considerare la pandemia da Covid 19 dentro una logica di sindemia, dove cioè aspetti biologici e aspetti sociali interagiscono e nella loro interazione si definiscono anche i livelli di rischio e di suscettibilità delle persone e delle comunità. Che è esattamente l’obiettivo della sanità pubblica”.
Con questa interessante considerazione tratta da un’intervista di Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità è stata definitivamente “sdoganata” questa nuova condizione, definita sindemia, legata alla pandemia da Covid 19 con la quale si rafforza sempre di più il legame tra ambiente, nella sua interezza, e salute.
Per sindemia, infatti, secondo la Treccani, si intende «l’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di due o più malattie trasmissibili e non trasmissibili, caratterizzata da pesanti ripercussioni, in particolare sulle fasce di popolazione svantaggiata». In altre parole, l’impatto di una determinata malattia sulla popolazione non viene affrontato solo dal punto di vista sanitario, ma anche da quello sociale. «In questa logica – ha detto sempre Brusaferro – il servizio sanitario nazionale si è rivelato uno strumento potentissimo, essenziale».
Nessuna pandemia nell’ultimo secolo ha avuto gli effetti catastrofici del Covid-19 con ripercussioni distruttive non solo sulla salute della popolazione, ma anche sull’economia e gli aspetti socio-relazionali degli individui. Lo stato economico, politico e sociale ha però impattato a sua volta sulla risposta della popolazione alla malattia.
Dopo essere passati dalla definizione di epidemia a pandemia, l’emergenza Coronavirus viene definita da più parti come una sindemia.
Con “pandemia” intendiamo la diffusione di un agente infettivo che può contagiare chiunque e in ogni luogo con la stessa rapidità e gravità. Quindi un’epidemia di portata mondiale che coinvolge contemporaneamente più continenti.
Il termine “sindemia” invece sarebbe etimologicamente più appropriato per definire quanto stiamo vivendo. La parola sindemia è stata introdotta negli anni Novanta del secolo scorso da un antropologo medico, Merril Singer, per indicare un insieme di problemi di salute che tiene conto non solo di un’eventuale malattia in atto anche pandemica (ad esempio il Covid 19), ma anche di altre malattie interagenti, co-presenti o sequenziali, non trascurando i fattori sociali e ambientali che promuovono e potenziano gli effetti negativi dell’interazione con la malattia.
Oggi si parla di sindemia perché la pandemia infettiva di Covid-19 sta colpendo in modo diverso fasce di popolazione differenti per ambiente e situazione socio-economica.
Inoltre anche malattie non correlate alla pandemia, come malattie cardiovascolari o tumori, obesità e diabete, hanno subito una brusca accelerata e presentano un grado di rischio più significativo nelle fasce svantaggiate della popolazione.
In una situazione di sindemia, queste malattie insieme costituiscono ancora più un rischio su un substrato sociale di povertà e producono una terribile dilatazione delle diseguaglianze.
In breve, la diversa distribuzione della mortalità per Covid-19 sulla base delle classi sociali e delle differenti possibilità di accesso alle cure sarebbe un chiaro indice di sindemia. Questa situazione tramite un’accurata analisi si riscontra anche in Italia o in altre aree del mondo.
Ricerche internazionali confermerebbero una situazione di sindemia nata dall’interazione tra pandemia e disagio socio-economico. In quest’ottica salute, benessere e crescita economica appaiono strettamente correlati. Questa interazione tra i vari elementi, espressa in termini sinergici, permette di guardare al futuro con un’altra ottica.
Per garantire un mondo migliore, libero dallo spettro di future epidemie infettive, è quindi necessario ragionare fin da subito in termini di sindemia, tenendo in considerazione non solo gli aspetti biologici, ma anche quelli sistemici, politici e sociali.