martedì, 24 Dicembre, 2024
Il silenzio delle parole

Narrazione e memoria

Gli scrittori devono scrivere non tanto su ciò che sanno, quanto su ciò che non sapevano di sapere fino a quando non lo hanno riscattato dall’oscurità”, pensiero di Francesco De Gregori, dove ritrovo tanto di vero, nella mia esperienza di scrittore.

Lo scrittore inizia il suo viaggio avvolto dalla nebbia. È il gusto per una nuova avventura, ma il tempo cambia e all’improvviso la meta diventa chiara. L’attività dello scrivere si libera e diventa realtà, inizia la scoperta di fatti e persone, di profili sconosciuti, l’ignoto si riscatta dall’oscurità e acquista piena autonomia dal suo autore.

La profondità oscura delle storie narrate ha il sopravvento, vive di vita propria e inizia a scrivere sé stessa, trasformando l’artista in mero strumento di una realtà che va per la sua strada narrandosi. Così la vita, sospesa fra sogno e realtà, diventa teatro, sfumano i contorni del reale e dell’immaginario e il viaggio mentale unisce l’oggi alla memoria.

Un giorno, forse, la memoria diventerà ricordo vivido, più intenso dei fatti reali, di cui poco sappiamo di autentico. Sappiamo solo che basterebbe mettersi a scrivere e abbandonarsi alla narrazione di “ciò che non sapevamo di sapere”.

Le storie d’amore. Forse ognuno ha raccontato la sua storia, forse nel tempo ognuno ha raccontato tante storie di quella storia, i protagonisti, lo tesso tempo, lo stesso spazio, tante storie, e il bilancio di un amore è casualmente legato a un ultimo atto vissuto, all’immaginazione di un finale incompiuto, plausibile, atteso, vissuto intensamente in una delle memorie possibili.

Un’esperienza fra tante, a tal segno, nel mio primo libro di narrativa Il viaggio più lungo, prima parte della futura Trilogia di racconti e memorie: al capitolo “10 giugno 1940 – L’Italia entra in guerra” scrivo:

Fu una serata tragica … e Concetta e gli amici si dannarono a tener fermo quell’omone di Carmelo, che voleva affacciarsi dalla finestra, per insultare a squarciagola il Duce e gli allegri caroselli di sostenitori in camicia nera che cantavano per le strade, inneggiando alla guerra. Tonino e Gioacchino, impettiti come due statue, insistevano nella finzione di assenso alle idee del padre, ….

Un racconto in un interno di famiglia di antifascisti siciliani. Due figli erano sulla soglia del diciottesimo anno, e fra poco sarebbero andati in guerra.

Conoscevo i fatti salienti ma mai avrei immaginato, prima di scrivere quel racconto, che Tonino e Gioacchino, all’epoca che fu, esprimessero fascistissimo orgoglio che il padre Carmelo, a ragion veduta, fingeva di non vedere.

I ragazzi erano giovani, cresciuti fra tanto regime e sabati fascisti, sullo sfondo la malata retorica della difesa della Patria, e da lì a poco, uno dei due ragazzi, mio futuro padre, partì volontario per il fronte russo, fermato al Brennero dopo la disfatta germanica a Stalingrado.

Dolorosamente ma con amore Carmelo li osservava, un pianto interiore, e un pensiero amaro che guardava morte e speranza danzare insieme: “Sarà la guerra a svelare l’inganno di questa barbarie di Stato!”.

Mai nessuno mi aveva raccontato dei due ragazzi, ed io conoscevo a fondo tutti i protagonisti della storia, ma quella non mi fu mai raccontata. Avevo colto passivamente la verità, nel tempo e nel profondo delle loro anime e della mia, fra indizi minori poi abbandonati alla sedimentazione, all’oblio, al ritorno mentale di lunghe onde oceaniche.

Ed ecco il mio racconto che si racconta, il riscatto dei fatti dall’oscurità, quella pagina familiare diviene vera, lì a fare i conti con i segreti complici di una famiglia unita dalla saggezza di due vecchi: un patriarca e una matriarca che avevano saputo spartire il potere familiare, con loro una dose di omertà intelligente e il senso di vergogna dei due giovani, divenuta nel tempo inconfessabile ma che fu tenera al loro ritorno a casa, salvi dal fascismo e dalla guerra.

Una realtà come tante che decide di raccontarsi, di legarsi ad una memoria familiare, assumendo il suo spazio in una finzione che finzione non è.

Una realtà che aveva fatto il suo viaggio nel tempo e nella mia mente, dentro l’indulgenza di un linguaggio cifrato familiare. Fatti solo apparentemente incoerenti, silenzi e vuoti da colmare, nostalgie di tempi amati nei solchi profondi della falsa gloria, degli odi e delle tragedie del ‘900.

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