Il grande caos del Governo sulla legge di Bilancio è in dirittura d’arrivo. Sarà una settimana che metterà in evidenza tutte le contraddizioni dell’esecutivo in campo economico, il barometro del conflitto sarà l’emendamento “retromarcia” sulla Plastic Tax, tassa prevista dal Governo, poi finita tra le polemiche, quindi accantonata e, forse ora, ripresentata ma di molto mitigata. Di certo nelle casse dello Stato non entrerà il miliardo di euro previsti nella prima stesura. Quindi niente tasse o forse qualcosa rimarrà della tassa sul consumo e smaltimento della plastica, ma sarà poca cosa. Una evidente inversione di rotta che illustra bene le difficoltà che incontra il premier Giuseppe Conte a far quadrare il cerchio dell’alleanza 5s-Pd.
Il caso della Plastic Tax è davvero emblematico sulla difficoltà tutta Italiana di fare scelte fiscali, economiche, di innovazioni, ambientali e sul futuro, senza innescare le solite bufere dove tutti all’apparenza sembrano avere una ragione importante. Rimanendo alla cronaca politica di oggi il ministro per lo Sviluppo Economico Stefano Patuanelli in audizione al Senato ha spiegato le ragioni della retromarcia. “Inizialmente”, sostiene il ministro, “la plastic tax era prevista al primo gennaio. Ho chiesto esplicitamente che fosse traslata almeno di 6 mesi e visto che comunque incide probabilmente in modo troppo rapido sul nostro sistema produttivo la rimoduliamo per allungarla nel tempo e limitarne l’introduzione nel primo periodo ad alcuni specifici prodotti che sono fortemente impattanti sull’ambiente e che riguardano per esempio le plastiche non riciclabili”. Dietro il tecnicismo c’è però un mondo di levate di scudi.
Da Confindustria ai Sindacati, dalle industrie chimiche alle imprese di imballaggio. A rimanere convinti che la tassa era giusta oltre agli ambientalisti c’è la Federconsumatori a patto che i costi non devono ricadeee sulle famiglie, cosa che invece, già veniva data per scontata dagli industriali, costi che la federazione dei consumatori calcola con un aggravio di 138 euro annuo per ogni famiglia. È interessante anche capire come il Governo abbia deciso di rinunciare alla Plastic Tax (almeno nella sua versione annunciata). Il primo squillo di tromba della contrarietà è arrivato dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia.
“L’errore da evitare è creare shock traumatici per la sindrome di essere i primi della classe”, dice il leader degli industriali italiani che contesta il progetto di Governo, “del continuare a tassare le imprese per risolvere altri problemi. Bisognerebbe tutelare i fondamentali di impresa e non aggredire le aziende dal punto di vista fiscale per fare cassa nel paese”. A seguire la levata di scudi contro tasse e Plastic Tax è l’amministratore delegato dell’Eni Enel, Francesco Starace, che ha intimato, “I governi non devono fare proclami o mettere tasse, ma usare le risorse per la riconversione industriale o per gli ammortizzatori sociali”. Con questi annunci gioco facile per le aziende del settore imballaggi esprimere la loro “forte contrarietà”, tra l’altro non senso una loro ragione. I conti infatti dimostrano che già pagano una tassa e anche salata, una buona parte dei soldi in definitiva va ai Comuni per il riciclo. “La misura”, dicono le imprese di imballaggi associate a Confindustria, “non ha finalità ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti, e rappresenta unicamente un’imposizione diretta a recuperare risorse ponendo ingenti costi a carico di consumatori, lavoratori e imprese. Già oggi le aziende pagano il contributo ambientale al Conai per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica per 450 milioni di euro all’anno, 350 dei quali vengono versati ai Comuni per garantire la raccolta differenziata”.
L’introduzione di una nuova “tassa sulla plastica” per le imprese del settore è, “una sorta di doppia imposizione che sarebbe ingiustificata sia sotto il profilo ambientale che economico e sociale”. Dal mondo delle imprese a quello dell’industria il coro di no diventa ancora più perentorio. “Non demonizzare il settore”, è quanto chiede il presidente di Unionchimica Confapi, Delio Dalola, che attacca, “Anziché puntare su tematiche di sostenibilità ambientale ed economia circolare aiutando la riconversione del nostro tessuto produttivo creando occupazione con azioni come questa si mette in ginocchio un comparto produttivo che perderà migliaia di posti di lavoro”. Stessa musica per Unionplast, l’associazione di categoria che riunisce i trasformatori di materie plastiche, che si “oppone con forza”.
Secondo il Presidente di Unionplast, Luca Iazzolino, “la plastic tax rischia di affossare ulteriormente la competitività di un settore di eccellenza che sta già intraprendendo una transizione verso soluzioni più sostenibili”. Scenari addirittura apocalittici per i lavoratori quelli annunciati da Marco Falcinelli, Segretario Filctem Cgil: “Questa tassa produrrà solo disoccupazione, non si può fare cassa sulla pelle dei lavoratori. Le Aziende produttrici di imballaggi già pagano ai consorzi per il recupero e riciclo dai 150 ai 500 euro a tonnellata in funzione proprio delle differenti difficoltà di raccolta e riciclo dei prodotti. Produrre una tonnellata di plastica per imballaggi costa circa mille euro e la ventilata ipotesi di una tassa aggiuntiva del 20% metterebbe a rischio il futuro di 50 mila lavoratori e di 2 mila imprese. Non si tratta di difendere gli interessi di un settore ma di evitare un disastro dal punto di vista sociale e produttivo”. Ecco quindi che la Plastic Tax sarà affossata, così come le milioni di tonnellate di spazzatura che dal sud partono dirette per il nord Italia e altri Paesi dell’est Europa e del nord Africa che, impacchettata in altre tonnellate di plastica, viene “tombata” o bruciata nei cementifici, con tanti saluti all’ambiente e alla Plastic Tax.