lunedì, 16 Dicembre, 2024
Il Cittadino

Carceri, rieducazione negata e suicidi

Il sistema costituzionale e penale, l’intero nostro ordinamento, nega allo Stato il diritto di vita e di morte sui cittadini: la pena di morte è una barbarie ammessa per lo più soltanto in regimi totalitari e residualmente in qualche democrazia (tra queste alcuni Stati degli USA).

Contro gli autori accertati giudizialmente di reati è prevista la “detenzione” (non propriamente il carcere; anche gli arresti domiciliari sono una forma di detenzione): che non è fine a sé stessa, ma deve tendere alla rieducazione.

Fondamentali le garanzie previste dalla Costituzione: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo» (art. 2); «La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge» (art. 13, commi 1 e 2); «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte» (art. 27, la norma anche della presunzione di innocenza, commi 3 e 4).

Sull’argomento – avverto subito – sono molto radicale. Sono tra quelli che ritengono l’ergastolo contrario alla Costituzione. Se ritengo illegittimo l’ergastolo normale figuratevi la mia posizione rispetto all’ergastolo ostativo (il peggioramento della situazione carceraria del condannato per mafia che non “collabora”) e, ancora di più, rispetto al regime carcerario del 41-bis e del 41-bis speciale.  Cito da “Il Dubbio” (D. Aliprandi, 14 gennaio 2018): «C’è il 41 bis, del quale si parla spesso. Una forma antica di carcere duro. Probabilmente anticostituzionale. Ma quasi nessuno sa se che esiste anche il 41 bis special, che è una forma di carcerazione ancora e parecchio più aspra del 41 bis. I detenuti sono tenuti in isolamento pressoché totale, in celle buie, spesso situate sottoterra, e minuscole. Racconta un detenuto che ha vissuto questa esperienza: “Per dieci anni sono stato isolato totale in una cella di un metro e 52 centimetri di larghezza per due metri e 52 centimetri di lunghezza, e cioè uno spazio occupato quasi tutto dal letto. Non mi arrivava un raggio di luce”».

Insomma non sono certamente del partito del “gettiamo la chiave”.

La giustizia, ritengo non deve essere vendetta: un sentimento che riguarda tutt’al più un’alterazione della sfera privata, che civilmente condanniamo e che se attuato costituisce reato. Lo Stato non deve vendicare, ma ricercare l’autore del crimine, giudicarlo e, se risulta colpevole, condannarlo: ad una pena – che non può essere tortura – da scontare in maniera civile, secondo i cennati principi costituzionali.

Il sistema carcerario italiano ha un costo elevatissimo.

Secondo una ricerca dell’Università Bocconi (richiamato da Il Riformista, V. Lanza, 13 novembre 2021) «ogni detenuto costa alla comunità 154 euro al giorno, di cui solo sei per il mantenimento del detenuto, appena 35 centesimi per la sua rieducazione, prevista dalla Costituzione italiana. I soldi degli italiani che lo Stato spende non mirano all’attuazione di uno principio costituzionale. Non rieducare significa incrementare la recidiva che in Italia, come sottolinea lo stesso studio, è del 68%, dato che scende al 19% quando si applicano misure alternative come la semilibertà e le forme di inserimento lavorativo». Soprattutto tenendo conto del risultato sociale positivo che si ottiene con la semilibertà e con il lavoro probabilmente sarebbe utile che la percentuale destinata alla rieducazione – lo 0,23% di quei 154 euro giornalieri – aumentasse in maniera esponenziale.

Sottolineo che 154 euro al giorno fanno € 4.620,00 al mese per ciascun carcerato.

La Camera penale di Roma, in una manifestazione sulla Giustizia alcuni anni fa ha ricostruito nel cortile del Tribunale Penale di Piazzale Clodio una cella del carcere di Rebibbia, destando grande impressione tra i visitatori., che non credevano ad una situazione così deteriore.

Il sistema carcerario italiano è in alcuni casi una autentica tortura. Lo dimostra il forte tasso di suicidi, superiore alla media europea e che pone l’Italia ai primi posti. Suicidi che si sono incrementati in questa estate rovente, fino a far reclamare interventi immediati e, soprattutto, una immediata riforma del carcere preventivo: quei presunti innocenti tenuti in carcere a scontare una pena prima di una condanna che, forse, non verrà mai inflitta: l’Italia ha anche il record delle condanne di risarcimento per ingiusta detenzione, più di mille l’anno!

Insomma il carcere è un sistema che deve essere immediatamente riformato: una parte essenziale della fondamentale riforma della giustizia.

Con un dubbio che mi attanaglia da anni. Se si può negare allo Stato il diritto di uccidere un cittadino, si può anche negare il diritto di privare un cittadino della libertà.

Un assioma estremo, lo ammetto. Onestamente non ho una soluzione da proporre, rendendomi conto delle ragioni di sicurezza che sottostanno alla detenzione (forse oggi sostituibile da sistemi elettronici di controllo, efficaci sotto il profilo considerato della sicurezza).

Ma sono sicuro che verrà un tempo futuro in cui il carcere come lo intendiamo oggi verrà ritenuto una barbarie.

Certamente, però, è già arrivato il tempo, nel 2022, di attuare i principi costituzionali stabiliti nel 1948: tre quarti di  secolo fa.

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