La crisi di Governo è esplosa all’improvviso, per effetto di un meccanismo noto in politica: si tira la corda per mostrare forza e determinazione, ma l’interlocutore non abbocca, non media, non concede. E
la rottura diventa inesorabile.
Conte ha osato molto, ma Draghi non si è sottratto allo scontro, ha rilanciato chiudendo senza appelli a una prosecuzione rissosa del suo Governo.
Ragionevolmente questa esperienza di solidarietà nazionale appare conclusa. Se mai ci fossero dubbi, sono le parole del premier a chiudere il discorso: ‘torniamo alle vite precedenti’.
Draghi vuol dire che lui una vita ce l’ha. Quel che non dice, e magari pensa, è che molti parlamentari non sanno esattamente cosa fare nell’avvenire.
La politica ha sbagliato a pensare che Draghi potesse essere ammansito e incluso nelle liturgie di palazzo. Lui non è un politico, non vuole esserlo. È un civile servitore, e si espone finché – appunto – c’è
da rendere un servizio.
Galleggiare non è né il suo mestiere né la sua ambizione. Ecco perché ha scandito quelle parole così semplici e definitive: ‘torniamo alle vite precedenti’.
E la parola adesso tornerà agli elettori.