La lotta forse sempiterna e al contempo più ostinata cui profondere energie, è quella con noi stessi. Quella capace di originare i fraintendimenti tra noi e gli altri, di innalzare muri sempre più spessi e più profondamente radicati nel terreno, senza avere idea di come riemergere in superficie. Infatti non sempre profondità significa l’armonia della sostanza: a volte è il fulcro delle incomprensioni, quando per esempio lega gli estremi dei macigni di ciascuno. Mentre sarebbe molto più bello – lo sappiamo – legare le proprie leggerezze.
LA LEGGEREZZA NON È SUPERFICIALITA’
Quella leggerezza – l’hanno detto in molti – che non è superficialità. E a volte è il solo modo per colmare i vuoti lasciati da quelle profondità che rischiano di diventare pesantezze insopportabili. Mi è capitato troppe volte di arrivare a non sopportare le mie di profondità ed angosciose pesantezze, ancor più di quelle che ho scorto negli altri. E mi è capitato di fonderle con quelle di chi sotto questi ed altri aspetti sembrava assomigliarmi.
ACCETTARE NOI STESSI PER COMPRENDERE L’ALTRO
Poi forse ho capito che la sola ragione per cui non riuscivo a comprendere e a sopportare l’altro, era che rivedevo in quella profondità, nei modi, persino nei macigni caratteriali, il riflesso di me stessa. Ero io a non sopportarmi: a rivedere i miei difetti, o almeno quelli che avevo sempre considerato come tali. Ecco perché forse per imparare a comprendere ed accogliere chi ci sta di fronte e chi richiama anche i nostri lati più bui, occorre prima di ogni cosa accettare i nostri, noi stessi ed i nostri lati meno limpidi.
IL CONFINE TRA I CONTRASTI
“Ti aspetto, sul confine tra me e te” scrisse Marina Cvetaeva: tracciando all’interno di un perimetro di guerra, che per la prima volta si propone quale possibilità d’incontro, una speranza di pace. Magari sarà impossibile capirsi: tra due amici, tra due amanti, tra due fratelli, tra padri e figli, tra due personalità e due caratteri tanto profondi quanto pesanti – ma non lo sarà eliminare quelle rassomiglianze talmente forti da averne alimentato i contrasti. Da averne allineato i confini. Perché quando nasce un contrasto – niente di più vero – significa che è lì che era nato e può rinascere un legame. Un legame così puro, pulito e privo di equivoci e di sotterfugi da essersi sporcato e contaminato del peso – a tratti insopportabile – della sua stessa profondità.