Ad oggi gli esseri umani che abitano il pianeta sono più di 8 miliardi e le stime prevedono un incremento a 10 nel 2050 e a 11 nel 2100. I progressi della medicina e la riduzione dei tassi di mortalità hanno condotto a un miglioramento dell’aspettativa di vita, ma non hanno ridotto le disuguaglianze, accresciutesi soprattutto nei Paesi in via di sviluppo in Africa e in Asia, che sono il motore della crescita demografica. Le disparità economiche e sociali, unite alle crisi alimentari e ambientali, richiedono un approccio multidimensionale e coordinato, a maggior ragione in una fase in cui la guerra in Ucraina e la pandemia di Covid-19 aggravano le situazioni di fragilità preesistenti.
In vista della Giornata mondiale della popolazione promossa dall’ONU, gli esperti della Strategic Alliance of Catholic Research Universities (SACRU) propongono soluzioni improntate alla solidarietà, riflettendo l’eterogeneità di competenze che contraddistingue il network.
SACRU è una rete composta da otto università cattoliche di quattro continenti, coordinate dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, che cooperano assieme con l’obiettivo di promuovere un’istruzione globale per il bene comune e una eccellente ricerca interdisciplinare ispirata dall’insegnamento sociale cattolico.
“La crescita demografica è legata all’Africa Sub-Sahariana, che va aiutata a completare la propria transizione in maniera sostenibile” sostiene Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia e statistica sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Una tendenza opposta rispetto all’Europa, che si trova ben al di sotto il livello di equilibrio generazionale. Questa crescita differenziata tende ad alimentare una “crescente mobilità dai paesi più poveri, con esuberanza di popolazione giovanile, ai paesi più ricchi, mobilità che però è foraggiata anche da fattori di instabilità di tipo climatico e politico” osserva Rosina. Il riferimento non può che essere rivolto al conflitto in Ucraina, che “ha indotto all’interno dell’Europa un esodo di profughi senza precedenti dal secondo dopoguerra”.
Rodrigo Figueroa, preside della Scuola di agricoltura della Pontificia Universidad Católica de Chile, rivolge la sua attenzione alle crisi alimentari che la guerra in Ucraina e la pandemia di Covid-19 stanno causando nel mondo: “I sistemi agroalimentari globali sono chiaramente connessi, il confronto tra Russia e Ucraina e la pandemia stanno aumentando le situazioni critiche nei Paesi africani e mediorientali come Ciad, Somalia, Yemen e Siria”.
Per Figueroa, è urgente “promuovere un modello agroecologico intensificato, perché è chiaro che sono le persone più vulnerabili a essere le più colpite da queste crisi”. La situazione è seria, e per Rafael Sánchez, professore presso la Facoltà di storia, geografia e scienze politiche del medesimo Ateneo, è importante ricordare che l’aumento demografico si verificherà “in territori che attualmente presentano un grave deficit di alloggi, nonché disuguaglianze nell’accesso a risorse come l’acqua potabile, l’elettricità e le fognature”. Secondo Sánchez, non vi è altra strada se non quella di “considerare gli effetti transnazionali della questione demografica e perseguire piani integrati di sviluppo economico e territoriale”.
Valeria Bello, professore associato della Facoltà di relazioni internazionali dell’Universitat Ramon Llull, sposta l’analisi sull’illusione del progresso come panacea di tutte le disparità sociali: “La speranza che l’istruzione di per sé avrebbe reso questo mondo più saggio si è rivelata tristemente sbagliata. Una maggiore alfabetizzazione da sola sembra irrilevante; è il tipo di educazione che le persone ricevono che può essere veramente importante”.
Su simili presupposti si muovono le considerazioni di Marcelo Motta, direttore del Centro interdisciplinare per l’Ambiente della Pontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro. “Pensare che ci sia un solo modo di vivere e che la qualità della vita debba seguire i precetti della moderna civiltà occidentale è l’errore più grossolano che si possa fare” spiega Motta, e “dovremmo chiederci se, nel momento stesso in cui proponiamo una migliore qualità di vita a tutti, non stiamo lasciando una grande parte della società fuori da queste condizioni desiderate”.