sabato, 23 Novembre, 2024
Considerazioni inattuali

Gli occhi dello specchio

“Occhi – e nient’altro. Occhi – e il resto a parte. Quest’altro resto era poco: praticamente niente” scriveva la Cvetaeva in Una serata non terrestre; riportandomi nella loro irrealtà: nel mondo immaginifico che risiede negli occhi. Non in tutti gli occhi, naturalmente. Ma ne esistono alcune paia di specie rara: io preferisco quelli grandi ed aperti verso gli altri e verso il mondo – mi affascinano meno quelli bassi, misteriosi, sfuggenti che di solito innamorano in letteratura.

LA SERATA NON TERRESTRE

Mi piace cercare la bontà negli occhi o senza forzare troppo: trovarne la purezza, quella degli sguardi vividi, spontanei, e – perché no – misteriosi anche questi nella sostanza della loro profondità. Ed è capitata anche a me una serata non terrestre; forse avvertita come tale perché quasi tutto di quei momenti è stato inaspettato eppure medesimamente appartenente ad una bozza di disegno già determinato. Come se facesse parte di un testo già scritto, per intenderci; pur mantenendo al contempo una straordinaria dose di sorpresa.

L’INCONTRO NEGLI OCCHI

Nelle serate non terrestri non deve per forza succedere qualcosa di effettivamente fuori da qualsiasi schema. Basta incontrare degli occhi, per dire. Di quelli descritti da Marina. Quelli per cui tutto quello che c’è intorno poi svanisce, persino l’involucro cui appartengono quegli stessi occhi perde d’importanza. Ed ecco che muoversi in una festa con tantissimi invitati, e magari anche annoiarsi, stringere mani quasi sconosciute senza nemmeno trattenersi sui volti – assume d’improvviso un nuovo scenario: come d’un tratto mi guardassi allo specchio in un deserto (e il caldo di Roma si presta al paragone) tra le dune che sostituiscono i corpi negli abiti da sera.

IL RICHIAMO DEGLI UNICI

Lo specchio è solo, non è illuminato dal sole, ma fa di tutto per farsi guardare: il suo richiamo è fortissimo perché i suoi occhi riflettono quelli che vi si specchieranno. Come lo specchio che ho visto anch’io cui accennavo qualche riga fa; uno specchio in mezzo ad un meraviglioso giardino che d’un tratto è divenuto un deserto sahariano, perché null’altro aveva importanza rispetto a quello specchio. Ma non è mai il caso – ho capito – di specchiarcisi più del necessario. Come con tutti gli specchi, per quanto sia piacevole e profondo il confronto dinnanzi, non è opportuno soffermarcisi troppo: si rischia di perdercisi dentro.

PERDERSI NELL’ALTRO

Dunque gli occhi dei troppo simili forse, le rassomiglianze troppo intense dello spirito, è meglio non si uniscano – per non perdersi: per non perdere la loro stessa identità in favore di quella dell’altro – poiché la loro sarebbe una delle poche unioni non cieche. Mi spiego: i legami più saldi, paradossalmente, avvengono ciecamente, appunto, senza spiegarsi necessariamente il perché: la congiunzione avviene per mezzo dell’istinto che ne guida i rami, verso l’intreccio.

GLI SPECCHI DELLA MENTE

Mentre gli occhi, specchio della mente, agirebbero per via della sensibilità: ovvero della coscienza del cuore o dell’emotività dell’intelletto; si unirebbero gli uni con gli altri tramite la conoscenza, senza misteri, senza salti nel vuoto: senza la cecità che fa da collante al legame. E questo nella maggior parte dei casi non significherebbe affatto salvezza, ma quasi – temo – uno spaesamento onnisciente: frutto dell’eccessiva consapevolezza, della coscienza dell’altro, dei suoi occhi che annullano tutto il resto, dei miei occhi che s’annullano nei suoi.

 

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