I libri che esaminano l’oggi e il domani del mondo digitale, in genere, si dividono secondo lo schema di Umberto Eco: apocalittici (quelli che prefigurano sciagure terrificanti) e integrati (quelli che he esaltano senza se senza ma le potenzialità di questa era). Il brillante ed essenziale saggio di Gianluca Sgueo appartiene ad una terza categoria che potremmo definire realistico-frustrante.
E si, perchè questo libro invita a camminare con i piedi per terra e smorza facili entusiasmi. Non certo sugli sviluppi positivi delle tecnologie e dell’ecosistema digitale. Tutt’altro. Sgueo ci delinea una sorta di antropologia dell’ Homo digitalis in cui ,con dovizia di dati e di esempi, si elencano le trasformazioni che si stanno verificando, ad esempio, nella percezione del tempo, nella forma mentis anti-complessità, nella gratificazione percepita di servizi e prodotti. Ma il divario, da cui il titolo del saggio, riguarda il passaggio dal privato al pubblico.
Aspettative deluse
Tutte le opportunità gratificanti e le semplificazioni della vita che il digitale ci offre nel privato genera delle aspettative anche per il settore pubblico. Ci illudiamo che i servizi che ci spettano in quanto cittadini che pagano le tasse possano essere erogati dalla Pubblica amministrazione più o meno con la stessa “efficienza” digitale cui ci stiamo abituando nel privato.
Sgueo ci spiega che così non è e non potrà facilmente essere. Velocità, semplicità, personalizzazione, possibilità di scelta? Nulla di tutto questo può verificarsi in un settore che ha dei vincoli di replicabilità, durata, reazione e competizione. E si tratta di limiti pressoché strutturali. Dobbiamo allora arrenderci? Tutt’altro. Il divario si può ridurre ma non basta spendere tonnellate di miliardi nella innovazione tecnologica.
Soluzioni possibili
Molto dipende dalla formazione delle nuove leve della pubblica amministrazione, Occorrerebbe un ricambio generazionale rapido per inserire nativi ditali in un mondo che ancora pensa che il rispetto della procedura sia più importante dell’efficienza del servizio e della risoluzione del problema. Ma qualcosa si può fare da subito per incidere proprio sulle decisioni pubbliche sulla cui complessità Sgueo si sofferma. Le procedure amministrative devono essere garantiste. È vero. Ma per farlo devono “includere” e non “escludere” i privati nei loro processi. E questo ci porta al tema cruciale per la democrazia: coinvolgere gli interessi privati nella fase ideativa delle soluzioni dei problemi e della formulazione delle procedure.
Il muro dell’autoreferenzialità
È l’unico modo per far breccia nella tendenza della Pubblica amministrazione all’autoreferenzialità insita in ogni amministrazione pubblica.
E veniamo alle specificità italiane
Per realizzare una colossale semplificazione amministrativa che dia un po’ di competitività al nostro sistema produttivo i Governi si affidano agli stessi uffici e alle stesse persone che hanno costruito e che gestiscono la complessità anomala, oppure approvano riforme della Pubblica amministrazione i cui effetti si vedranno fra 30 anni. Si può fare diversamente.
Partire dal concreto
Da tempo ho proposto la costituzione di una Commissione operativa in cui siano rappresentate tutte le categorie produttive e di cittadinanza, insieme a docenti di diritto amministrativo, esperti di tecnologie digitali e pochi illuminati dirigenti della Pubblica Amministrazione. Questa commissione dovrebbe stilare l’elenco dettagliato di tutte le procedure che complicano inutilmente la vita delle persone e delle aziende e proporre al Governo la loro eliminazione e/o la sostituzione con procedimenti ridotti all’essenziale anche con il supporto dei mezzi digitali. Un “decretone” potrebbe cancellare dalla sera alla mattina gran parte dei labirinti in cui ci perdiamo. E anche il “divario” descritto da Sgueo in questo libro potrebbe drasticamente ridursi.
Gianluca Sgueo
Il divario. I servizi pubblici digitali tra aspettative e realtà
Egea 2022