Fa un certo effetto essere nella Locride a parlare di ambiente, con gente appassionata e competente, nella immensa bellezza dei boschi di Aspromonte, una delle montagne più suggestive del mondo: un pezzo di Alpi trascinata in fondo agli Appennini, l’unica circondata dal mare su tre lati.
Fa un certo effetto perseguire l’obiettivo di portare il nostro contributo per la sensibilizzazione delle coscienze ai problemi ecologici del nostro tempo, proponendo anche micro comportamenti virtuosi, mentre basta un solo missile esploso in Ucraina (ne sono scoppiati alcune migliaia) per fare un danno ambientale di entità incalcolabile. O perché – come proprio avvenuto ieri – basta una sentenza della Corte Suprema Usa per alzare di un grado la temperatura del pianeta.
Ma mi sono detto – cominciando venerdì la tre giorni locridea con un convegno di giuristi per verificare se la dignità costituzionale riconosciuta all’ambiente dalla recente riforma possa avere conseguenze per l’ambiente – dobbiamo comunque portare il nostro granello di sabbia pulita, da inserire nella spiaggia che sogniamo.
Parliamo un attimo della sentenza della Suprema Corte USA alla quale facevo riferimento.
Come è già accaduto per la notissima e pure essa recente sentenza sull’aborto, la questione giuridica esaminata ed affrontata dalla Corte Americana, non riguardava il problema in sé – l’aborto, l’ecologia – ma delicate questioni di equilibrio tra Stati federati e federazione (gli Stati Uniti sono una vera e propria federazione di cinquantuno Stati autonomi e sovrani), e problemi di regolamento e limitazione di poteri del governo federale. Il problema giuridico in entrambi i casi non coincideva, se non come conseguenza indiretta, sul tema sociale.
Non concorderei quindi, su quelli che denunciano manovre oscurantiste e reazionarie dei giudici conservatori della Corte Suprema: la prima sentenza non ha reso illegale l’aborto, così come la seconda non legittima smisurate immissioni di CO2 nell’aria. La prima decisione stabilisce che ogni Stato federato può regolare liberamente l’aborto; la seconda che l’agenzia federale EPA – Environmental Protection Agency, in pratica il ministero dell’Ambiente Usa – non ha il potere di imporre a tutti gli Stati la riduzione delle emissioni di gas nel settore elettrico del 32%, passando dalle centrali a carbone alle rinnovabili. Si trattava di un provvedimento di Obama, assunto in forza della legge Clean Air Act, mai entrato in vigore perché subito impugnato dallo Stato del West Virginia, ricco di carbone, e che ha portato all’odierna sentenza. La quale conferma il potere in materia dello Stato federale, ma attraverso il Congresso: con legge, non con atti dell’esecutivo.
Discorsi a cui non siamo abituati. Come ha esattamente notato Franco Mencarelli in un dibattito accesosi dopo la sentenza sull’aborto «il punto del ragionamento della Corte, il riconoscimento della parità di godimento dei diritti non significa riconoscimento di ogni diritto a livello di Carta… per questo occorre un emendamento costituzionale ovvero si ricade nella competenza dei singoli Stati. Vero è che noi siamo abituati, sulla scia delle teorie secondo cui le norme possono essere interpretate in via evolutiva, ad ammettere una giurisprudenza costituzionale che tra principi evolutivi e sentenze manipolative, ha finito con l’attribuire alla Corte un potere costituente, con le conseguenze che si sono determinate nel complessivo equilibrio tra i vari poteri, in cui sicuramente è pretermesso proprio il fondamento del popolo, la cui volontà è sempre più irrilevante. Ma nelle Costituzioni rigide, come quella USA, questo potere della Corte è assai difficile».
Archiviamo così le decisioni americane – che in ogni caso spiegheranno effetti proprio nei settori dalle stesse neppure considerati – e torniamo al nostro granellino di sabbia.
La tre giorni Locridea è rubricata “ambiente e corresponsabilità” proprio a volere sottolineare come la cura del nostro pianeta sia una questione che riguarda tutti.
Nessuno può chiamarsi fuori, nessuno può ritenersi immune.
Ciascuno deve contribuire per la sua parte, per quanto minima. Perché non si può dare un ambiente sano, se non c’è una corresponsabilità nel mantenerlo.
Perché è di immediata evidenza che l’ambiente è un bene collettivo, affidato alla custodia e manutenzione di tutti. Così che senza la corresponsabilità della sua salvaguardia si arriverebbe alla sua rovina.
In fondo dovremmo proprio, quando ragioniamo di ambiente, pensare che noi ne facciamo parte e che il nostro modo di vita è quello che più incide sui cambiamenti del sistema ecologico: che se superassero certi limiti determinerebbero un danno tale da minacciare la nostra stessa esistenza: perché la nostra vita di esseri umani è più fragile dell’ambiente.
Serve riflettere su una corresponsabilità, quindi, che non si limita soltanto agli effetti attuali del comportamento, ma anche alle conseguenze future. C’è una riserva, insomma, a favore delle generazioni che verranno, che assume una posizione predominante e che ci corresponsabilizza tutti.
Un principio di precauzione che non potremo mai più dimenticare.