Nel suo ultimo editoriale per il Financial Times, il giornalista Simon Kuper confronta lo stato di salute della meritocrazia di due mondi a lui molto familiari per mestiere e passione: la politica e il calcio. E si domanda perché l’élite pallonara si basi sulla meritocrazia, mentre quella politica no.
Calcio e politica: vincere o compiacere?
Il suo ragionamento passa in rassegna diversi aspetti che lo portano a concludere che aveva sempre considerato il calcio affare meno nobile della politica, ma che da oggi in poi non sarà più così.
Il perché è presto detto: per giocare in un top team devi non solo essere il migliore, ma continuare a evolverti. Diversamente, per quanto riguarda la politica, la selezione non è altrettanto rigorosa: basta essere nato nella casta giusta ed entrare nei circuiti giusti e il dado è tratto. Il fatto è, scrive Kuper, che “una squadra di calcio deve vincere le partite, mentre un governo compiacere gli elettori”.
Il caso Brexit
Prendiamo, per esempio, Brexit. Un referendum costruito contro qualsiasi razionale economico. Prova ne è quanto emerso dall’incontro tra uno dei suoi principali artefici, Dominic Cummings, e l’ex direttore del FT, Lionel Barber, che racconta nel suo libro di memorie, The powerful and the damned: “Brexit ci permetterà di risparmiare 350 milioni di sterline a settimana, soldi che potremo spendere nel nostro sistema sanitario nazionale. Sappiamo che la cifra può trarre in inganno ma, proseguì Cummings, fin quando i fronti del Leave e del Remain si confronteranno su quanto costa far parte dell’Unione Europea, sarà il fronte del Leave a vincere. La cifra esatta non conta. Se invece il dibattito si sposterà su economia e commercio allora vincerà il fronte del Remain”. Barber chiosa: “Cummings si rifiutò di discutere di cosa sarebbe accaduto qualora il Regno Unito avesse lasciato l’UE”.
A toglierci ogni dubbio è oggi uno studio condotto da un pool di Università inglesi, riunite sotto l’egida dell’ERC (Enterprise Research Centre). Secondo gli analisti, siamo di fronte a un disastro: una riduzione drastica delle esportazioni (-22%) quanto delle importazioni (-26%) con l’UE, senza contare il dato negativo delle esportazioni verso i paesi extra-UE.
In estrema sintesi, si tratta di fattori che hanno contribuito a contrarre ulteriormente un’economia già sofferente per la congiuntura mondiale negativa, come conferma l’ennesimo rialzo dei tassi di interesse da parte della Banca d’Inghilterra.
Insomma, gli elettori avevano fame e, se Kuper ha ragione, il referendum ha dato una risposta facile, veloce e molto appetibile per l’elettore, come ha confermato il plebiscito in favore di Boris Johnson nelle successive elezioni.
E adesso?
La domanda però è: ora che gli elettori avranno ancora più fame, che succede? Nel motivare la sua mossa, il Governatore della Banca d’Inghilterra, Andrew Bailey, non lascia troppi margini d’interpretazione: “Mi preoccupano i prezzi dei prodotti alimentari”. Ovvero, la fame. Quindi, la pace.