Il giornalismo è una passione. Se non ce l’hai meglio lasciar perdere. Questa è stata la cornice nella quale, per una ventina d’anni e più, ho insegnato le tecniche del mestiere a molti giovani che ora ricoprono posizioni di rilievo in giornali, Tg e Gr.
Negli ultimi due decenni il giornalismo ha subito durissimi colpi dovuti, soprattutto, alla delegittimazione perpetrata dai teorici della disintermediazione delle notizie che ha messo l’opinione pubblica alla mercé di sciacalli e di macchine più o meno prezzolate di disinformazione. Tutto ciò ha creato una sorta di “depressione” della professione giornalistica che si nota anche nello spirito -spesso rassegnato- con cui le nuove leve si misurano con questa complessa attività
In controtendenza con l’atmosfera crepuscolare che aleggia sul giornalismo sono le 500 pagine del libro di Massimo Mapelli, uno dei miei più brillanti ex alunni che, dopo una solida lunga gavetta, è ora giornalista di punta del Tg La7.
Consiglio la lettura di questo libro soprattutto ai chi si avvicina al giornalismo. Per vari motivi.
Il testo è scritto in maniera piacevole e senza alcun cedimento alla retorica che spesso caratterizza i libri in qualche modo autobiografici. La semplicità e la chiarezza della scrittura, virtù sempre più rare, si uniscono alla precisione nel riferire fatti e circostanze.
Mapelli ci fa rivivere le vicende che ha seguito sul campo, in particolare le due spedizioni tra i ghiacci -o ciò che ne rimane, dei due poli. Ci racconta il suo vissuto di cronista di casi giudiziari complessi, di eventi drammatici, di temi sociali delicati. Per le nuove generazioni è istruttivo leggere come Mapelli si è posto in relazione ai fatti che doveva raccontare, toccare con mano il rigore esercitato nel controllo incrociato delle fonti, l’aderenza alla realtà concreta senza ricostruzioni romanzate o gli staging che spesso tentano soprattutto i giornalisti televisivi. In controtendenza è anche la ricerca di uno stile espositivo senza i narcisismi e le infiocchettature barocche che spesso servono solo a imbellettare il vuoto di notizie e di dati concreti. o a creare gratificazioni per giornalisti altrimenti frustrati.
Mapelli, da questo punto di vista, è un giornalista all’antica, che segue con rigore le sane regole della professione e mette al primo posto il rispetto dell’etica, presupposto indispensabile per la credibilità di chi esercita un’attività tutelata dalla Costituzione.
E così torniamo alla passione. Perché Mapelli, oltre a tenere la schiena dritta, a dare pane al pane e vino al vino ad “alta voce”, fa capire quanto la passione sia determinante nel giornalismo.
Senza di essa la gavetta, con le sue ingiustizie e ruvidità, sarebbe stata per lui insopportabile. Senza la passione la voglia di scavare a mani nude nella realtà avrebbe lasciato il posto al giornalismo da computer. Senza la passione, gli ostacoli e le trappole di cui è costellata la strada della notizia avrebbe fiaccato anche uno volenteroso come lui. Senza la passione, avrebbe trionfato la tendenza di arrendersi all’andazzo del giornalismo approssimativo, scandalistico, sensazionalistico che pubblica senza controllare e senza ascoltare l parti coinvolte.
Noi “vecchi” del mestiere e i giovani che si approcciano a questa avventura non possiamo che essere grati a Mapelli per questa testimonianza di una professionalità di cui c’è e ci sarà sempre disperato bisogno.
Massimo Mapelli: Ad alta voce – Vita da giornalista sul campo e dietro le quinte – Baldini+Castoldi – pp.515