Secondo Giuseppe Conte ne abbiamo inviate abbastanza. Abbastanza per che cosa?
Per sentirci con la coscienza a posto? O per consentire a un Paese invaso di potersi difendere con efficacia?
Il problema è tutto qui. Se volevamo lavarcene le mani e ipocritamente far finta di aver aiutato l’Ucraina, potevamo anche limitarci a qualche missile anticarro e basta. Ma se invece vogliamo comportarci come un Paese serio allora dobbiamo chiederci cosa possiamo fare -in relazione alle nostre possibilità- per mettere Kiev in condizione di respingere l’invasione russa e sedersi al tavolo della pace non per arrendersi ma per trattare in modo onorevole e non umiliante.
È questo il metro su cui l’Occidente -Italia inclusa- deve misurare il suo sostegno militare alla resistenza ucraina contro l’aggressione russa. Non ce ne sono altri. Il teorema dei pacifisti in difetto di logica è un sofisma. Sostengono che mandare più armi significa allontanare la pace. È esattamente il contrario. Solo bilanciando l’equilibrio tra i belligeranti si può costringere entrambi a trattare e chiudere il conflitto. Se c’è uno squilibrio -che si aggraverebbe se l’Occidente non mandasse altre armi- non ci sarebbe la pace ma la resa incondizionata dell’Ucraina alle pretese di Putin. È quello che alcuni filoputiniani si augurano ma non è quello che la Lega e i 5S possono decentemente sostenere, né privatamente né pubblicamente.
Le continue minacce di Mosca di fronte alle forniture militari più moderne a Kiev dimostrano che Putin teme di perdere la sua supremazia militare ed essere costretto a venire a patti con Zelensky. Uno stop all’invio di armi asseconderebbe il piano di Putin e sarebbe un tradimento nei confronti degli ucraini.
Diciamola tutta: se l’Occidente fosse stato meno timido e avesse fornito già a marzo le armi che sta mandando adesso, Putin avrebbe capito da subito il segnale e si sarebbe probabilmente orientato per una
trattativa, risparmiando decine di migliaia di vite umane e tante sofferenze a russi, ucraini europei e popoli che soffrono la fame per il grano che i russi continuano a bloccare nei porti.