La riforma delle pensioni slitta all’autunno. Il dibattito riprende slancio sulle proposte da mettere sul tavolo del confronto, segno che decisioni e soluzioni unitarie sono lontane. Nei mesi scorsi si dava per certo che il varo della nuova previdenza ci sarebbe stato tra aprile e maggio, con l’ok al Documento economico e finanziario. Poi il sovrapporsi di problemi, dai riflessi negativi della guerra in Ucraina, alla crescita della inflazione e al caro energia hanno di fatto bloccato ogni ipotesi di una riforma da raggiungere in primavera.
Sei mesi per cambiare
Il tempo comunque stringe, tra 6 mesi finirà la soluzione ponte di Quota 102, – che manda in pensione i nati entro il 1958 che hanno raggiunto tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre 2022 i 38 anni di contributi -. Entro dicembre bisognerà trovare una alternativa, altrimenti tornerà di forza la contestata legge Fornero, che prevede la pensione anticipata per gli uomini che maturano 42 anni e 10 mesi di contributi e le donne che ne maturano 41 anni e 10 mesi. In pratica la pensione a 67 anni.
Pressing dei sindacati
In base a questo orizzonte di pochi mesi il cantiere della riforma si riapre in sordina. L’ipotesi su cui oggi maggiormente si parla è quella di Quota 41 con il rendere accessibile a tutti l’uscita a 64 anni, con almeno 20 anni di contributi. Si tratterebbe comunque di una mini-riforma. Il pressing vede schierati i sindacati e Lega per Quota 41 che darebbe possibilità ai lavoratori di avere una flessibilità in uscita favorevole. Il Piano garantisce i paletti fissati dal premier Mario Draghi che vuole una riforma vincolata esclusivamente al metodo di calcolo contributivo. In questo senso l’uscita con almeno 64 anni d’età e 20 di contribuzione, oggi di fatto è consentito solo a chi è totalmente “contributivo”. Quindi solo i lavoratori con 20 anni di contributi.
Il nodo dei ricalcoli
Il problema per chi ha più anni di versamenti e di retribuzioni è come fare un calcolo tra che non sia eccessivamente penalizzante per il lavoratore. Si tratta di scaglioni di età.
Diverse sono state le simulazioni tecniche che dovrebbero essere poste sul tavolo del confronto tra governo e sindacati. Il sistema dovrà divenire solo contributivo – il tanto versi tanto ottieni – come emerge dalle simulazioni, spiegano gli analisti, “con il ricalcolo contributivo la riduzione dell’assegno dei lavoratori in regime “misto” – mix di contributivo e retributivo per coloro che al 31 dicembre 1995 non erano in possesso di più di 18 anni di versamenti – oscillerebbe sostanzialmente tra il 10 e il 18%”. Tuttavia nel picco di una riduzione del 18,6% del trattamento, vincolando al “contributivo” l’uscita a 64 anni, ci sarebbe un numero limitato di lavoratori in possesso fino a 17 anni di anni di versamenti al momento “agganciati” al retributivo. Molto più ampia invece sarebbe la fetta di soggetti con una quota di contribuzione fino a sei anni riconducibile al ”retributivo” per i quali scatterebbe una riduzione dell’assegno non superiore al 10%.
I sindacati: uscita a 62 anni
Sulle simulazioni il Governo non si è espresso e non ha formalizzato proposte. I sindacati però hanno posto una linea di demarcazione su cui non intendono tornare indietro. Anche in questo caso sono in gioco età, contributi e retribuzioni. La prospettiva di una via d’uscita unica a 64 anni con il ricalcolo contributivo dell’assegno non piace a Cgil, Cisl e Uil che invece indicano nei 62 anni l’età giusta per uscire dal lavoro applicando “eventualmente” solo “piccole penalizzazioni” crescenti per ogni anno di anticipo rispetto alla soglia di vecchiaia, o, in alternativa, con 41 anni di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica.
Quota 41 e proposta Inps
Da questi calcoli e indicazioni che nasce la proposta di Quota 41. Caldeggiata dalla Lega, ma che non convince Forza Italia che indica in Quota 104 l’idea per sommare età e anzianità contributiva. Più in linea con lo schema del governo appare la proposta del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che punta, con un costo di poco superiore ai 400 milioni il primo anno, a consentire l’anticipo a 63-64 anni della sola quota contributiva per poi recuperare la fetta retributiva al raggiungimento della soglia di vecchiaia dei 67 anni.
Il Governo cauto sui costi
I calcoli dovranno approdare ad una sintesi, e sarà il momento della verità, perché le aspettative del Governo sono quelle di non pesare sui conti pubblici. È il requisito fondamentale della linea del presidente del Consiglio Mario Draghi. Siamo sul campo delicato delle “condizioni irrinunciabili” invocate dai sindacati per la loro parte e proposte di flessibilità di uscita e tutele dei livelli delle pensioni, mentre Palazzo Chigi sulla spesa è in linea con le sollecitazioni dell’Europa che chiede all’Italia di non appesantire ulteriormente il costo previdenziale. Scenari che dovranno fare i conti con gli sviluppi imprevedibili del conflitto in Ucraina, delle sanzioni contro Mosca, la “guerra” del grano, il caro energia, e infine, l’inflazione che in molti temono salirà ancora.
Fonte foto: Sara Minelli – Imagoeconomica