domenica, 17 Novembre, 2024
Cultura

Odessa: anfore romane nelle trincee scavate dagli ucraini

I soldati di Kiev hanno consegnato al Museo della città i reperti archeologici del IV secolo dopo Cristo

Il ritrovamento di Odessa non rappresenta, ad oggi, un avvenimento sensazionale, sia chiaro. Una considerazione che trova solido approdo nelle parole di Igor Pistruil, ricercatore del Museo Archeologico di Odessa, che proprio la scorsa settimana precisava come ancora i reperti non fossero stati studiati: “da specialisti che possano determinare se si tratti di pezzi rari”.

L’avvenimento, però, risulta particolarmente utile e offre lo spunto per alcune considerazioni.

Nei fatti la scorsa settimana, alcuni militari della 126^ Brigata di Difesa Territoriale, di stanza a Odessa, scavando trincee attorno la città hanno recuperato alcune anfore romane. Nello stesso istante in Italia iniziavamo a lamentarci del caldo e dei soliti, amletici, dubbi su quale località visitare questa estate. A dimostrazione di una sensibilità quantomeno singolare, considerato il delicato frangente storico e che ad operare sui fragili ritrovamenti erano non addetti ai lavori. A notarlo è proprio il dott. Pistruil, precisando che “i militari non hanno danneggiato le anfore durante l’estrazione”.

Circostanza che da sola rileva come la sensibilità delle forze armate internazionali, soprattutto appartenenti a determinati corpi, sia decisamente superiore a quanto riscontrato nei conflitti passati e sui si potrebbe scrivere a lungo.

Ora, nonostante le premesse, occorre spiegare perché reperti simili, non rappresentino nulla di sensazionale all’interno di quel contesto geografico. Stando a comunicazioni e dispacci militari, infatti, oggetto di scoperta sarebbero anfore del III-IV secolo dopo Cristo. Un periodo storico in cui Odessa era un porto romano, come greco era stato prima ancora. Già la democratica Atene aveva assaporato il grano dai territori dell’attuale ucraina e, allo stesso tempo, aveva scoperto quanto questa importazione danneggiasse le tasche dei contribuenti in tempi di conflitti armati durante la guerra del Peloponneso. De-ja vu?

Un sito dall’importanza storica e archeologia non indifferente quello dell’antica Chersoneso, nei pressi di Kherson appunto, tanto da essere da aver meritato il più nobile tra i cluster di settore, patrimonio dell’Umanità Unesco. Viene da sé che, in quell’area piantando il badile nel terreno, il rumore di cocci infranti rappresenterebbe tutt’altro che una sorpresa.

Occorre comunque precisare quanto poco, effettivamente si sappia, dei primi anni di storia dell’insediamento. Il suo primo periodo di prosperità, o così devono aver pensato i popoli ellenici, fu tra il IV e II a.C., quando la città controllava la penisola eraclea e le rigogliose pianure sulla sponda occidentale della Crimea. Proprio in questo frangente, le fitte relazioni commerciali intrattenute, appunto, con Atene e con il Ponto resero Chersoneso ben notta in tutta il Mediterraneo. Una fortuna che non accennò a diminuire in epoca ellenistica, iniziando un remunerativo rapporto di scambio anche con Delo e Rodi vere e proprio metropoli del tempo.

Approdata in epoca romana, la protezione dell’Urbe funzionò da propellente per l’insediamento commerciale. Nonostante l’incombente minaccia rappresentata dai Goti e dagli Sciti del III secolo, la città arrivò anche a rappresentare il maggior sito di smistamento del vino del mar Nero. Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, poi, la città fu annessa all’Impero bizantino, frangente storico da cui sembrerebbero provenire, a spanne, i reperti di Odessa. Sotto Bisanzio oltre a centro commerciale diventa polo religioso, diventando addirittura il capoluogo imperiale dell’area. Contemporaneamente veniva impiegata come la Ventotene dell’Est, come testimonia il caso del deposto imperatore Giustiniano II Rinotmeto esiliato proprio a Chersoneso.

Incardinata questa doverosa retrospettiva storica, torniamo a noi. A causa dell’invasione in corso, gli archeologi attivi in Ucraina affrontano le ovvie difficoltà a cui ogni professionista dell’arte è sottoposto sotto i bombardamenti. Nonostante ciò, i soldati sono riusciti a trasportare in sicurezza gli oggetti (oltre alle anfore sono stati rinvenuti anche alcuni reperti ceramici) al Museo Archeologico di Odessa. Istituzione tra le più antiche dell’Ucraina, fondato nel 1825, il Museo è gestito dall’Accademia Nazionale delle Scienze nazionale. La struttura colleziona oggetti, opere e reperti che raccontano la storia antica dell’Ucraina meridionale partendo da _ risalenti all’età della pietra.

Sul punto, le parole di Andrey Krasnozhon, dottore di ricerca in scienze storiche e rettore dell’Università Nazionale dell’Ucraina Meridionale, mettono a fuoco un aspetto scontato, se osservato da un occhio superficiale. “È  importante”, ha affermato il rettore, “che i pezzi siano stati consegnati al museo e non rivenduti. […] Hanno trovato [i soldati ndr] dei reperti, li hanno registrati, li hanno consegnati al museo. Ben fatto[…]”.

Ritrovamento sensazionale, dunque? Probabilmente no, per quanto sia al momento impossibile stabilirlo con certezza. Così come va evitata il sensazionalismo, però, sarebbe piuttosto disfattista non riconoscere quello che, se parlassimo di sport, definiremmo un gran bel “gesto atletico”. In Ucraina dei soldati, impegnati a scavare trincee, hanno scoperto anfore e altri oggetti risalenti al primo secolo dell’età imperiale di Roma. Invece di darei quegli oggetti in pasto al florido mercato nero tipico dei tempi di guerra, hanno adottato la premura necessaria per dissotterrare e trasportare i reperti in un Museo.

Di certo, nulla di tutto questo influenzerà le sorti del conflitto, verrà sbattuto sul tavolo delle trattative o risparmierà all’Ucraina un singolo giorno di carneficina. Resta il fatto che, quanto accaduto, permette di intravedere uno scorcio di civiltà nel proverbiale, forse retorico, orrore della guerra d’invasione.

* Analisti Osservatorio Italia Antiriciclaggio per l’Arte – https://www.antiriciclaggioarteitalia.it/ 

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