mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Salute

Malattie rare, nuove strategie per la ricerca

Semplificare il quadro normativo, garantire un accesso omogeneo in tutti gli Stati dell’UE e accelerare i processi di sviluppo e sperimentazione clinica, con una strategia di lungo periodo che punti ad attrarre gli investimenti per uno sviluppo crescente di farmaci orfani e a uso pediatrico. Questi sono stati alcuni degli argomenti affrontati nel workshop promosso dall’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari-Altems per supportare la ricerca delle malattie rare per le quali non esiste una cura. In Europa sono tra 25 e 30 milioni le persone colpite da queste patologie, di cui circa 2 milioni in Italia.

“Vi è una necessità crescente di procedere verso un’evoluzione dei regolamenti di riferimento per sviluppo e approvazione dei farmaci orfani e pediatrici che tenga conto di vari fattori, tra cui l’innovazione insita nei nuovi prodotti terapeutici, il loro costo, l’importanza di renderli accessibili rapidamente ai pazienti che ne possono trarre beneficio”, spiega Americo Cicchetti, direttore Altems.

“Nell’Unione Europea l’evoluzione dei regolamenti di riferimento, la ricerca di un equilibrio tra competenze delle agenzie regolatorie e quella degli organismi responsabili per l’Health Technology Assessment sta impegnando Istituzioni europee, autorità regolatorie, Parlamenti e governi nazionali in una discussione che però fatica a trovare un punto di incontro definitivo. Allo stesso tempo – continua – nel gennaio 2022 è entrato in vigore il regolamento sulle sperimentazioni cliniche che mira ad armonizzare i processi di presentazione, valutazione e supervisione delle sperimentazioni cliniche in tutta l’UE. In particolare, è attivo il Sistema Informativo delle Sperimentazioni cliniche (CTIS) che – secondo l’EMA – consentirà di razionalizzare i processi, garantendo all’UE di continuare ad attrarre la ricerca clinica. L’Italia si trova quindi in una nuova competizione europea con altri paesi che impone una seria riflessione sullo stato dell’arte e sulle azioni da intraprendere per garantire competitività al sistema paese”, conclude.

In Europa una malattia è considerata rara quando colpisce non più di 5 persone ogni 10.000 abitanti.
Dall’ultima analisi di IQVIA emerge che, in Italia, tra il 2017 e il 2020, il tempo medio impiegato a livello europeo tra l’autorizzazione all’immissione in commercio e l’accesso al farmaco orfano è di 482 giorni. Un dato inferiore alla media Ue. Anche se il nostro Paese si posiziona, ad esempio, dopo Germania (102 giorni), Danimarca (249), Austria (261), Paesi Bassi (380) e Inghilterra (441 giorni). L’Italia ha però – nel periodo oggetto dell’indagine – il 75% di farmaci orfani approvati in Europa già disponibili contro il 37% della media europea. Inoltre, l’analisi dell’Aifa mostra che il procedimento autorizzativo per i farmaci orfani (dalla presentazione del dossier di prezzo e rimborso alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) ha avuto una durata media di circa 400 giorni nel 2020, in calo rispetto ai circa 450 del 2018.

In questo scenario alcuni ambiti meritano attenzione da parte degli organismi regolatori europei e nazionali, in quanto riguardano popolazioni che ancora mostrano bisogni terapeutici non completamente soddisfatti, come nel caso delle malattie rare o dei medicinali pediatrici. Entrambi gli ambiti si caratterizzano per un numero esiguo di pazienti e richiedono misure mirate a rendere sostenibili gli investimenti in ricerca e sviluppo. Ciò nonostante, grazie a lungimiranti politiche e strumenti regolatori adottati, gli ultimi 20 anni sono stati preziosi per recuperare un gap che si era accumulato in termini di disponibilità di terapie efficaci ed efficienti.

Fin dall’emanazione negli Stati Uniti nel 1983 dell’Orphan Drug Act, si è posta attenzione al sostegno per gli investimenti in questo ambito. Nel 1999 l’Unione Europea ha adottato il Regolamento CE 141/2000 e successivamente il Regolamento CE 1901/2006 a questo scopo. I Regolamenti citati hanno fissato rispettivamente criteri e procedure per la designazione di farmaco orfano da parte dell’European Medicines Agency e per disciplinare lo sviluppo di medicinali per uso pediatrico, garantendo l’applicazione di specifiche modalità di approvazione e il riconoscimento di misure favorevoli all’innovazione. Grazie a questo contesto, i farmaci orfani, così come quelli pediatrici, hanno beneficiato di un quadro capace di promuovere e attrarre gli investimenti del settore privato e pubblico con risultati certamente rilevanti. Alla luce dei nuovi scenari regolatori ed istituzionali e delle nuove opportunità offerte dalla ricerca, è fondamentale avviare un dialogo tra tutti gli stakeholder sulle modalità migliori per rafforzare l’attuale quadro di riferimento e promuovere ulteriormente l’innovazione necessaria a soddisfare ancora molti bisogni terapeutici che non hanno trovato risposta.

“Oltre 2.500 designazioni di farmaci orfani e più di 200 medicinali per le malattie rare hanno ottenuto l’autorizzazione per l’immissione in commercio in UE negli ultimi 20 anni. Con un numero di sperimentazioni cliniche triplicato, sempre in Europa, tra il 2016 e il 2021. Con una quota del 26% sul totale delle sperimentazioni nel 2021. E l’Italia ha avuto un aumento superiore a quello continentale passando da 119 sperimentazioni in corso nel 2016 a 749 nel 2021, che rappresentano il 32% degli studi clinici complessivi. Risultati raggiunti anche grazie al Regolamento europeo sui farmaci orfani. Un Regolamento che oggi è in fase di revisione per renderlo ancora più moderno e in linea con i progressi tecnologici e scientifici”, ha detto Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria.

“È fondamentale però che le modifiche vadano nella direzione dell’innovazione, con una strategia mirata per rendere disponibili nuove terapie, per favorire la R&S e per attrarre ulteriori investimenti in UE. Anche perché – spiega – da uno studio della Commissione Europea emerge che quasi la metà di tutti i farmaci orfani approvati – 50 su 99 totali nel 2017 – tra il 2000 e il 2017 ha generato a livello europeo un fatturato annuo complessivo pari o inferiore a 10 milioni di euro”. “Il nostro Paese ha fatto passi importanti verso un accesso omogeneo su tutto il territorio nazionale, da attuare rapidamente per garantire la certezza dei tempi di accesso e l’eliminazione delle differenze a livello territoriale. Serve inoltre procedere all’ampliamento dello screening neonatale, all’approvazione del nuovo Piano Nazionale Malattie Rare e alla semplificazione del percorso di inserimento delle malattie rare nei LEA. Lo dobbiamo ai pazienti colpiti da patologie rari, che rari non sono. Perché sono le malattie a essere rare, ma non loro che, come tutti, sono unici. L’industria farmaceutica è pronta a fare la sua parte”, conclude Scaccabarozzi.

“Ci sono pochi dubbi sul fatto che uno dei vanti che l’Italia deve avere è che Aifa è stata la prima agenzia regolatoria ad attivare una serie di bandi sulla ricerca indipendente. È chiaro che l’investimento grande deve essere migliorare la qualità della ricerca in ambito pediatrico oltre a incrementare la disponibilità di prodotti autorizzati”, afferma Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, sottolineando anche la necessità di pensare ad “un approccio innovativo per evitare la ripetizione di studi in età pediatrica”.

Per Lucia Aleotti, azionista e membro del board Menarini, “quando parliamo di incentivi per i farmaci orfani parliamo di incentivi destinati all’industria farmaceutica, sappiamo che la struttura attuale degli incentivi ha effettivamente raggiunto il suo obiettivo e forse, paradossalmente, oggi me parliamo perché viene sempre fuori il tema sostenibilità per le cure. L’industria è il soggetto in grado di dire se quello che si sta delineando come normativa sia effettivamente incentivante, e oggi il quadro funziona perché dà delle certezze, le aziende sanno che investendo su certe patologie si può arrivare a una registrazione dei propri farmaci. Ma – prosegue – nel momento in cui il quadro si va a modificare bisogna fare i conti con la realtà, bisogna chiedere alle aziende se si sentono incentivate a sviluppare in altri settori perché il rischio, se le cose non vengono fatte bene seguendo i criteri incentivanti, è di lasciare scoperte certe aree in cui ci sono patologie dove le aziende possono portare cure e, allo stesso tempo, non riempire il gap dove c’è”.

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