La Corte Federale d’Appello, presieduta da Mario Luigi Torsello, ha respinto il ricorso sul caso plusvalenze, che in primo grado si era concluso con l’assoluzione di tutti i 61 imputati (dirigenti delle società calcistiche, tra i quali Paratici, Agnelli e De Laurentiis), dopo la richiesta di ben 458 mesi di inibizione da parte della stessa Procura con multe pari a 2,32 milioni di euro.
Tutto cancellato con un colpo di spugna dal tribunale lo scorso 15 aprile e anche la Corte d’Appello, un mese dopo, ha confermato la sentenza. In attesa delle motivazioni, è comunque certa la bocciatura per la seconda volta del teorema studiato dal pool investigativo coordinato dal procuratore Chinè, che sviluppando un modello matematico per definire il “valore rettificato” di ognuna delle 51 plusvalenze considerate “fittizie” e “gonfiate”, confrontandolo poi con il sito Transfermarkt, aveva messo nel mirino le operazioni compiute da Juventus, Napoli, Genoa, Sampdoria, Empoli, Parma, Pisa, Pro Vercelli, Pescara, Novara e Chievo.
Il secondo grado di giudizio ha ribadito un principio: due privati possono accordarsi sul prezzo di una compravendita – qualsiasi prezzo – al punto da non poter definire illecita una libera trattativa tra società. La Corte ha inoltre dichiarato “improcedibili” i reclami presentati da Sampdoria, Parma ed Empoli, che puntavano al famoso “vizio procedurale” degli inquirenti per stravincere la partita, relativo a un documento mancante (negli scambi di informazioni tra Covisoc e procura durante la fase d’indagine) agli atti che la procura Figc riteneva “non pertinente” ai fini del processo.