È oggi ancora possibile per un giornalista di cronaca giudiziaria raccontare una storia nuova che riguarda il fenomeno mafioso, prima fuori poi dentro alle dinamiche processuali, ma che abbia un suo interesse? Questo uno degli spunti di riflessione emersi nel corso di “Cronache di Mafia”, il primo di tre appuntamenti dedicati al ricordo del trentennale delle stragi del 1992, che si è tenuto stamattina al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo. In occasione del trentennale delle stragi in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a distanza di due mesi, l’Associazione Nazionale Magistrati e i Dipartimenti di Giurisprudenza e Scienze Politiche dell’Università di Palermo hanno messo in calendario una serie di incontri per sollecitare una discussione sul passato e sul futuro della lotta alla Mafia, tra contraddizioni e mutazioni che sia il fenomeno mafioso che il modo di raccontarlo hanno avuto negli ultimi decenni.
È proprio questo il tema del primo convegno, moderato dal coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Paolo Guido, in compagnia dei giornalisti – storiche firme delle cronache giudiziarie – Giovanni Bianconi e Attilio Bolzoni. Un capovolgimento dei ruoli che ha portato a una riflessione priva della retorica che spesso caratterizza questo tipo di incontri. “Oggi la cronaca giudiziaria di Mafia la trovo poco affascinante, sono passati quarant’anni dal maxiprocesso, che fu la prima grande occasione per la cronaca giudiziaria di focalizzarsi con grande interesse sulle dinamiche di mafia – ha spiegato Paolo Guido, coordinatore della Dia di Palermo – Furono processi divisivi che hanno spaccato il paese, quelli ai politici e alla classe dirigente, con la magistratura che passava da colei che processava a colei che veniva processata. Oggi, però, Cosa Nostra manifesta un tasso di offensività sì pericoloso, ma strizzando l’occhio a fenomeni che guardano al basso, quindi estorsione, controllo del territorio, altre specie di reato che non riguardano interessi elettorali e l’attività politica ed economica. Per questo – ha aggiunto Guido – oggi la cronaca di Mafia fa fatica a destare interesse, c’è soltanto Messina Denaro che alimenta una sua leggenda personale. Oggi non è possibile arrivare a una narrazione attraverso l’atto processuale, che ci racconta ormai fenomeni che fanno fatica a conquistare audience.
La vera partita dell’informazione – ha concluso – è riuscire ad andare oltre, cercare il sommerso, trovare spazi per raccontare una storia nuova”. Ma è davvero possibile raccontare oggi liberamente la Mafia su un giornale? “Attraverso i processi si racconta un pezzo di storia d’Italia”. “Ho sempre avuto la percezione che il lavoro del cronista giudiziario non sia limitato al bollettino del palazzo di giustizia, la cronaca giudiziaria è un modo per raccontare il Paese – ha esordito Giovanni Bianconi, firma del Corriere della Sera – La Mafia si è scoperta attraverso i delitti, ma poi anche col maxiprocesso, le stragi e le indagini che sono seguite. L’esito del processo è cronaca giudiziaria, ma il racconto andava oltre il processo. Per anni abbiamo raccontato tante cose e lo abbiamo fatto bene – ha sottolineato il giornalista –
La stampa ha avuto un ruolo. E il problema dell’appiattimento odierno del racconto sulle cronache giudiziarie è vero, ma è di difficile soluzione”. “Quando la mafia non spara, come la racconti? – si è chiesto invece Attilio Bolzoni, ex giornalista di Repubblica, ora passato a Domani – La Mafia è tornata quella degli anni ’60 e ’70. L’argomento giudiziario non basta più. C’è un giornalismo molto conformista, un giornalista che è ufficiale, di palazzo, al massimo si limita a riportare la voce dei Palazzi di Giustizia. C’è un’attenzione morbosa verso la Mafia degli emarginati, c’è un atteggiamento di timore come c’era al tempo contro quella che ho sempre chiamato mafia degli incensurati, la mafia trasparente. E ora i giornali non parlano di queste cose – ha aggiunto la storica firma delle cronache di Mafia – C’è uno scadimento del giornalismo, una sensazione che ci sia una mafia visibile che non fa paura a nessuno, e di un’altra mafia dei colletti bianchi di cui però i giornali non scrivono. L’informazione oggi è meno libera di 40 anni fa” ha concluso amaramente.