Nuovo round dinanzi ai togati della Corte di Giustizia dell’Unione europea. A suon di arringhe nuovamente contrapposte due scuole di pensiero apparentemente inconciliabili, da una parte i sostenitori della lotta al crimine senza se e senza ma, dall’altra gli strenui difensori della riservatezza secondo i quali, anche nel contrasto al malaffare la privacy deve essere mantenuta e tutelata
Il caso sottoposto alla Corte di Giustizia UE
Il caso dibattuto (causa C-140/20 del 5 aprile 2022) prende spunto da una condanna all’ergastolo per l’omicidio di una donna, in Irlanda. Nell’appello presentato contro la sentenza del tribunale, l’interessato contestava, in particolare, che il giudice di primo grado avesse erroneamente ammesso come elementi di prova i dati relativi al traffico telefonico e i dati relativi all’ubicazione afferenti le stesse chiamate telefoniche. Per poter contestare l’ammissibilità di tali prove nel procedimento penale, l’imputato intentava, in parallelo, un’azione civile presso l’Alta Corte d’Irlanda, diretta a far dichiarare l’invalidità di talune disposizioni della legge irlandese del 2011 che disciplina la conservazione di tali dati e l’accesso agli stessi, adducendo che detta legge violava i diritti conferitigli dal diritto dell’Unione.
Al centro del dibattito il diritto di ogni Stato ad ottenere e conservare – anche per molto tempo – i dati relativi al traffico telefonico di un determinato indagato, insieme agli indirizzi IP e agli acquisti di SIM prepagate.
L’importanza dei dati di traffico nella lotta alla criminalità
I movimenti di ciascuno, infatti, sono sempre accompagnati dai device che ognuno porta con sé, autentiche scatole nere in grado di registrare la nostra posizione, con chi intratteniamo rapporti epistolari (digitali), i siti Internet visitati e così via. Proprio dall’analisi e dall’elaborazione di tali tracce informatiche gli inquirenti riescono sovente a ricostruire i fatti delittuosi, attribuendo moventi, collusioni, correità e presenze sulla scena del crimine, oltre che dimostrare frequentazioni e spostamenti di ogni inquisito. Ma fino a quando è lecito conservare tali “scatole nere”?
Secondo i giudici del Lussemburgo, il diritto dell’Unione non osta a misure legislative che prevedano, a titolo preventivo, la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione afferenti alle comunicazioni elettroniche, per finalità di lotta ai reati gravi. Rimane però vivo il divieto per le autorità di effettuare “schedature di massa”, con la raccolta indiscriminata di dati senza “data di scadenza” ma – ed è qui la peculiarità della pronuncia – la repressione del crimine ammette la conservazione mirata delle informazioni investigative raccolte sulla base di specifiche “categorie” di persone o a determinate aree geografiche.