Quando ci si riferisce al fenomeno della cosiddetta “manipolazione delle competizioni sportive” – vale a dire le condotte attuate al fine di alterarne il regolare esito – spesso si sente utilizzare il termine inglese «match fixing».
Questo termine inglese ha, ormai, soppiantato quello francese “combine” – di uso comune, in passato, anche in Italia -, e definisce un accordo – segreto ed illecito – tra membri di squadre diverse al fine di ottenere un risultato favorevole ad entrambe o in danno di altre formazioni o atleti, con una indebita influenza sulla aleatorietà dello svolgimento della competizione, fattore connaturato alla competizione sportiva.
Non è raro che l’accordo preveda il pagamento di una somma agli artefici (circostanza che determina la corruzione), oltre il facile guadagno per gli scommettitori.
Ma esiste un’altra forma di “match fixing”, nota come “spot fixing”, consistente nel fissare piccoli eventi/risultati all’interno di una partita su cui si può scommettere (ad esempio il numero di differenza reti ad un dato momento della partita, il numero di espulsioni e/o di ammonizioni ecc.), difficilmente decisivi per il risultato finale, il che rende più difficile il poter individuare la manipolazione.
Il fenomeno della corruzione connessa alle scommesse sportive ha raggiunto preoccupanti livelli di espansione in tutta Europa, determinando la mobilitazione delle sue Istituzioni.
In occasione della XIII Conferenza dei Ministri dello sport degli Stati membri del Consiglio d’Europa – svoltasi nella località svizzera di Magglingen/Macolin il 18 settembre 2014, sui temi della corruzione nelle manifestazioni sportive e della cooperazione in ambito sportivo su scala europea – è stata adottata la “Convenzione sulla manipolazione di competizioni sportive”, aperta alla firma, non solo dei Paesi membri del Consiglio d’Europa, ma anche degli Stati aderenti alla Convenzione culturale europea, degli Stati membri dell’Unione Europea e degli Stati non membri che abbiano partecipato alla sua elaborazione o che godano dello status di osservatore presso il Consiglio d’Europa, nonché di ogni altro Paese non membro su invito del Comitato dei Ministri.
La “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla manipolazione di competizioni sportive” è intesa a prevenire, individuare e sanzionare la manipolazione delle competizioni sportive, coinvolgendo non solo le parti pubbliche interessate a tale obiettivo, ma anche le organizzazioni sportive e gli operatori privati di scommesse sportive.
La ratifica italiana, intervenuta con Legge 39/2019, ha permesso di raggiungere la soglia minima atta a rendere lo strumento operativo per le Autorità giudiziarie e di polizia chiamate a investigare e perseguire i reati nel settore sportivo con valenza transnazionale.
Sul tema è, comunque, da tempo viva l’attenzione anche delle Istituzioni italiane e, proprio in considerazione della riconosciuta necessità di monitorare e scambiare informazioni tra le Forze di Polizia e gli Enti Pubblici interessati venivano istituiti – in attuazione del Decreto del Ministro dell’Interno n. 11001/148 del 15 giugno 2011, rinnovato il 31 luglio 2017 – l’Unità Investigativa Scommesse Sportive (UISS) e il Gruppo Investigativo Scommesse Sportive (GISS) presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, coinvolgendo, oltre ai rappresentanti delle Forze e degli Organismi investigativi di polizia, la Federazione Italiana Giuoco Calcio, l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli – ADM, oltre al CONI.
L’istituzione dell’UISS e del GISS ha costituito, indubbiamente, un primo tentativo di favorire lo scambio informativo in materia di scommesse illecite, anticipando quanto successivamente codificato dalla Convenzione di Magglingen/Macolin.
Peraltro, la Legge 401/89, che disciplina il reato di frode nelle competizioni sportive, già conteneva disposizioni atte a disciplinare – nel contesto della reciproca autonomia dell’ordinamento statale e dell’ordinamento sportivo – i rapporti tra i due ambiti, permettendo ufficialmente agli organi di giustizia sportiva di attingere anche al materiale probatorio attinente al procedimento penale ordinario, sul presupposto che il delitto di frode nelle competizioni sportive costituisce anche un illecito disciplinare.
Questo contesto normativo, in combinato disposto con le previsioni della citata Convenzione di Magglingen/Macolin, ha permesso al CONI e alla Procura Generale dello Sport di ridisegnare i termini della collaborazione interistituzionale tra lo stesso CONI/PGS e l’Agenzia delle Accise, delle Dogane e dei Monopoli-ADM – che erano da tempo in corso di definizione – e di sottoscrivere nell’ottobre 2020 un Protocollo di intesa operativo che, sia pure ancora parzialmente, permette un migliore interscambio di dati tra i due Enti, pur nel rispetto delle norme sulla privacy.
Ma il tema del generale contrasto alla corruzione nello sport vede il CONI impegnato da tempo; l’Ente, in quanto di natura pubblica, adotta il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione ai sensi della Legge 190/2012, ma fa riferimento anche al Code of Ethics del CIO e ha aderito, nel 2016, all’UN Global Compact.
Già nel 2012 il CONI ha istituito il Garante del Codice di Comportamento Sportivo – che adotta istruzioni, vigila sulla corretta attuazione del Codice della Giustizia Sportiva e segnala ai competenti organi degli Enti di appartenenza i casi di sospetta violazione, ai fini del conseguente giudizio disciplinare – figura prevista nel contesto del Codice di Comportamento Sportivo, documento che indica i doveri fondamentali e inderogabili di lealtà, correttezza e probità cui sono obbligati tutti gli appartenenti al mondo dello sport.
Nel 2014 il CONI ha approvato i Principi di Giustizia Sportiva e il nuovo Codice della Giustizia Sportiva, che regola l’ordinamento e lo svolgimento dei procedimenti di giustizia sportiva, prevedendo numerose novità.
Il CONI è stato poi il primo – e credo ancora l’unico – Comitato Olimpico Nazionale a aderire nel 2017 all’IPACS (Partenariato Internazionale contro la corruzione nello Sport), organismo che vede collaborare Stati nazionali e Organizzazioni internazionali – come OCSE, Consiglio d’Europa, CIO – allo scopo di identificare standard condivisi di integrità nello sport e anticorruzione.
Il CONI è poi fortemente impegnato nella diffusione della cultura di contrasto al match-fixing e, in tal senso, ha aderito, nell’ambito del programma ERASMUS+ della UE, al progetto AMATT (Anti Match Fixing Top Training 2017/2019), che propone una formazione specializzata per migliorare la capacità degli organismi sportivi e promuovere un coinvolgimento mediatico qualificato nella lotta alle partite truccate e all’influenza delle organizzazioni criminali nello sport.
All’Italia, quindi, in tema di contrasto alla manipolazione delle competizioni sportive e alla corruzione nello sport va, con orgoglio, attribuito un primato politico-culturale, normativo e operativo che – voglio rimarcarlo – non deriva tanto dal fatto che il nostro Paese sia più permeabile di altri alle attività criminali, bensì dal pragmatismo, dalla capacità di analisi dei fenomeni e dal possesso di una visione prospettica della loro evoluzione, dalla capacità di lavorare applicando al meglio i concetti di cooperazione e di coordinamento, dalla abilità nel saper “mettere a terra” quello che le norme dispongono astrattamente, perché le donne e gli uomini che compongono gli Enti preposti alle attività di prevenzione e contrasto alla corruzione e, in generale, al malaffare – sia in campo statale sia in ambito sportivo – posseggono una elevatissima capacità professionale che è il retaggio di una tradizione culturale, amministrativa e operativa peculiare del nostro Paese.