Continuando entrambi a non discutere del mattatoio Ucraina – in attesa dei primi pronunciamenti della Corte Penale Internazionale – e concentrandoci piuttosto sulle dinamiche della nostra politica interna, Kurt il marziano ed io abbiamo avviato una serie di riflessioni sui temi più caldi del momento: in particolare quelli relativi al livello della pressione fiscale e al rapporto fra magistratura e politica alla vigilia dei referendum.
Non c’è dubbio che l’Extraterrestre abbia appreso, del modo italico di far politica, ben più di quanto abbia potuto imparare io di quanto avvenga su Marte: continuo però a pensare che il disordine istituzionale di una democrazia sia sempre meglio dell’ordine ottenuto da una qualunque dittatura.
Ma torniamo ai due temi cui ho prima accennato, sui quali – bene o male – continuano a pesare anche le conseguenze della guerra dichiarata da Putin all’intero Occidente.
Cominciamo dal primo: non c’è dubbio che il Marziano abbia ragione nel sostenere che il livello di evasione che interessa l’Italia raggiunge le dimensioni che conosciamo semplicemente perché il livello di progressività delle imposte è tale da indurre negli italiani un senso di comprensione – anziché di biasimo – verso coloro che riescono a sfuggire alle “attenzioni” dell’Agenzia delle Entrate; ma Kurt ha pure dovuto darmi atto della circostanza per cui anche i partiti politici che più tradizionalmente difendono gli interessi della comunità produttiva (in particolare Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) siano stati, fino a ieri, piuttosto cedevoli verso i portatori degli interessi collettivi dei lavoratori subordinati, che – non versando direttamente le imposte – non riescono neanche a percepire quanto la pressione fiscale sia diventata insopportabile e non concorrenziale rispetto a quella di altri Stati membri dell’Unione Europea.
Questo sgangherato sistema ha prodotto al bilancio dello Stato una mole di danni che molti fanno ancora finta di non vedere e ha pure condotto a paradossi quali il rifiuto di allargare la Flat Tax ai ceti medi, (introducendola però in favore dei più ricchi che stabiliscano la residenza in Italia!) oppure al trasferimento (più o meno fittizio) in Portogallo di molti pensionati italiani, che – con questa semplice operazione – ottengono un sostanzioso risparmio delle imposte e azzerano completamente il loro contributo al pagamento dei servizi pubblici di cui continuano a godere.
Era dunque ora che la questione fiscale fosse posta all’attenzione del Parlamento nei termini appena accennati, anziché in quelli suggeriti dai grandi operatori finanziari privati e questo sembra essere finalmente avvenuto, anche se non stiamo ancora percependone i risultati pratici, visto che – almeno fino ad oggi – il Governo non è stato neanche capace di completare il disegno della pace fiscale, ovvero di consentire ai contribuenti la rateizzazione dei loro debiti d’imposta più recenti, evitando le sanzioni e gli interessi derivanti dai mancati pagamenti delle somme dovute.
Le disfunzioni appena indicate dovrebbero però essere superate entro la fine del mese corrente, con l’approvazione della legge delega per la riforma fiscale; quelle che invece appaiono ancora insuperabili – nonostante siano molti quelli che affermano il contrario – sono le difficoltà manifestatesi sul cammino del Governo in materia di giustizia.
Poca importanza hanno infatti le tranquillizzanti dichiarazioni di vari leader politici in ordine al raggiungimento di accordi, nel Governo, in merito all’approvazione del disegno di legge Cartabia, perché sta verificandosi, in Parlamento, un progressivo svuotamento delle già timide linee portanti di quella riforma: dalla riduzione del numero di passaggi da giudice a pubblico ministero (e viceversa) fino all’attenuazione delle conseguenze – per entrambi – della mancata osservanza delle disposizioni europee in materia di presunzione di innocenza.
Sembrano dunque aver ragione coloro che – all’interno dei vari schieramenti – preferiscono rinviare la riforma ad un momento successivo alla conoscenza dell’esito dei referendum che si terranno a metà giugno.
Quel che però appare sempre più evidente è il legame fra le scelte in materia economica e quelle relative alla riforma della giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura.
Così non posso dar torto a Kurt quando mi fa osservare che ormai il problema principale per il governo Draghi è quello di allontanare il suo capolinea.
Per ottenere questo risultato occorrerà evitare eccessive modifiche agli atti normativi in corso di approvazione dal Parlamento, ma soprattutto allontanare il rischio di improvvise cadute da cavallo in conseguenza della sottovalutazione di alcune aggregazioni trasversali – sulle cartelle esattoriali da rottamare, come sulle porte girevoli che i magistrati imboccano per entrare ed uscire da carriere politiche più o meno improvvisate – che si vanno consolidando nei due emicicli senza che dai banchi del governo arrivino segnali di disponibilità per accogliere determinate richieste.
Il resto sembra puro ed inutile esercizio di dialettica politica che non conduce da nessuna parte.