Se finora non ho scritto in merito all’omicidio di Carol Maltesi, forse è perché semplicemente non mi piaceva farlo; al solo pensiero, provavo un moto di afflizione. Risulterà senz’altro un sentire non comune e magari impopolare (perché a noi donne ci bollano di regola l’una contro l’altra) ma ho sempre provato un affetto istintivo – termine gigante seppure esplicativo dello stato d’animo – per le mie coetanee, per le altre ragazze. In famiglia, sono l’unica figlia e femmina: per cui mi hanno cresciuto come avessero allevato un qualunque altro figlio, senza mai fare una distinzione di genere, facendomi sentire all’altezza di tutto e tutti, senza mai evidenziare una differenza di colori, preferenze, attitudini, progetti futuri tra me ed il sesso opposto. Trasmettere uno spessore morale al proprio figlio, non significa infatti arenarsi su di un retaggio culturale stantio. E tutte le persone più candide, limpide, coscienti del rispetto di sé e di che cosa si sostanzi il concetto di dignità, non ne hanno mai fatto una distinzione tra sessi.
L’ETICA CHE NON E’ MORALISMO
È evidente altresì, che per qualunque rispettabile motivo Carol avesse scelto quel tipo di vita – in disparte da quelle che erano le condizioni economiche in cui versava ed il bambino che doveva mantenere – non conoscesse o avesse contezza del rispetto di sé stessa: e questo, prescinde totalmente da una visione moralistica della faccenda. È semplicemente un dato di fatto, una prospettiva etica e pratica al contempo che non si può banalmente ascrivere ad un cambiamento dei tempi e della società. E non voglio entrare nella tragicità delle dinamiche che hanno portato un soggetto malato a tradurre in realtà la psicopatia che albergava la sua mente di bancario qualunque. Non voglio ribadire l’orrore dei fatti, del corpo smembrato di una giovane; per la crudele vuotezza, lugubre e miserabile che disegna il ritratto di Davide Fontana, sembra quasi di ritrovarsi in uno della quadrilogia di gialli firmati da Giorgio Scerbanenco – ma a me il musetto vispo e agrodolce di Carol dal primo momento ha ricordato Mimmina: la protagonista di Splendori e miserie di Madame Royale con Ugo Tognazzi e di Vittorio Caprioli. Entrambe amate, eppure sole come soli erano a loro modo i famigliari che le amavano, che forse prima ancora di quella sbandata di Carol, non avevano saputo o potuto accompagnare la propria di vita.
LA DIGNITA’ NEL RISPETTO DI SÉ
La vita di tutti quelli che spesso senza neanche esserne coscienti sono soli e senza protezioni – perché i legami non bastano a volte ad indicare la via e a sopperire a vuoti e bisogni estemporanei. Molte sono le ragazze che devono cavarsela e vedersela da sole, proprio come Carol: nel bene e nel male. E allora si affidano a chi arriva prima, senza guardare bene perché e come. Ecco perché, senza scadere nella retorica e nel moralismo, occorre trasmettere ai più giovani, prima di tutto, il rispetto di sé: che si tradurrà sempre, per forza di cose, nel rispetto degli altri. Dignità non significa moralismo. E vendere il proprio corpo, la propria immagine, di qualunque pseudo infiocchettamento odierno si ammanti, non potrà mai significare rispetto di noi stesse. E non vuol dire neanche discriminazione di genere: qualunque forma di prostituzione implica un degrado etico, che comporta la perdita del proprio valore e che attiene alla vera sostanza: non alla forma, né all’apparenza, né a qualsivoglia moralismo di sorta.