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Parole grosse, diplomazia lenta e orrori. In attesa del 9 maggio

Lieve avvelenamento per Abramovich. È fuori pericolo. Il solito avvertimento?
martedì, 29 Marzo 2022
1 minuto di lettura

La guerra delle parole fa danni, poca cosa rispetto ai massacri delle bombe a grappolo. Meglio sarebbe comunque evitare l’invettiva. E non certo per paura di Putin. Che delle intimidazioni ha fatto un uso sistematico: ha attivato l’allerta atomica, minaccia di non fornire più gas se non riceverà pagamenti in rubli. Ma i Paesi civili, liberi e democratici non devono stare a questo ,miserabile gioco al rialzo. Perché, se sale la tensione si allontana il cessate il fuoco. Di cui c’è urgente bisogno per salvare vite umane. Priorità assoluta.

La condanna totale, politica e morale dell’aggressione all’Ucraina non ha bisogno di cannonate verbali. Occorre invece lavorare su 4 direzioni apparentemente contrastanti: aiutare gli ucraini a potersi difendere senza coinvolgere i Paesi Nato, non arretrare sulle sanzioni alla Russia, dare tutto il sostegno possibile alla popolazione civile e ai profughi e intensificare le attività diplomatiche.

Per la prima volta in una guerra le trattative tra le parti in conflitto sono iniziate ad appena 4 giorni dallo scoppio delle ostilità. Un record. Da allora, l’unica parte che ha fatto passi avanti è stata quella ucraina. Zelensky si è rassegnato: Kiev non entrerà nella Nato, sarà neutrale, non avrà armi nucleari sul suo territorio e chiede che la sua sicurezza sia garantita da Cina, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna poi Germania, Canada e Turchia. E anche dall’Italia.

A queste concessioni, non è venuto nessun annuncio di disponibilità da parte russa se non la dichiarazione dei vertici militari che focalizza sul Donbass le pretese di Mosca. Ma intanto le bombe piovono anche a Leopoli e Kiev. La diplomazia arranca

Insieme ad Israele, la Turchia che pure vende micidiali droni a Kiev, si dà da fare per ammorbidire Putin. Per ora senza apprezzabili risultati. La Cina ufficialmente non intende mediare ma è probabile che sotto traccia lanci segnali di moderazione al Cremlino. Macron telefona spesso al Cremlino, ma senza alcun esito.

Si dice che Putin voglia chiudere la guerra portando sulla piazza Rossa il 9 maggio i trofei delle sue conquiste. Ma quali? Non ha ottenuto né la fuga né la morte di Zelensky e nessun cambio ai vertici dello Stato ucraino; distrugge interi centri urbani che poi non controlla; ha raso al suolo Mariupol, sta facendo lo stesso a Kharkiv ma le due città combattono casa per casa come avvenne a Stalingrado nel 1943; non riesce a sbarcare ad Odessa; i suoi tank arretrano dalla capitale.

Quale sia la linea del Piave del dittatore russo è difficile capirlo. Non può perdere la faccia ma non può neanche esasperare il conflitto. Ha sbagliato molti calcoli. Ma ora tocca noi non sbagliare i nostri. Armi, sanzioni, diplomazia. Meno parole più fatti.

Giuseppe Mazzei

Filosofo, Ph.D. giornalista, lobbista, docente a contratto e saggista. Dal 1979 al 2004 alla Rai, vicedirettore Tg1 e Tg2, quirinalista e responsabile dei rapporti con le Authority. Per 9 anni Direttore dei Rapporti istituzionali di Allianz. Fondatore e Presidente onorario delle associazioni "Il Chiostro - trasparenza e professionalità delle lobby" e "Public Affairs Community of Europe" (PACE). Ha insegnato alla Sapienza, Tor Vergata, Iulm e Luiss di cui ha diretto la Scuola di giornalismo. Scrivi all'autore

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