Le organizzazioni mafiose in Italia sono purtroppo entrate a far parte della vita quotidiana della società civile che con esse si trova, a convivere, nonostante lo Stato, attraverso la Magistratura e le Forze di polizia, esercita nei loro confronti una capillare e diuturna attività di prevenzione e di repressione.
Esse trovano terreno fertile sia nelle aree sociali più deboli economicamente, sia nei territori dove c’è benessere, sviluppo ed impiego di ingenti risorse statali, ma anche dove lo Stato non è tempestivo o si rivelano poco efficaci le sue azioni di interventi.
Ricordare annualmente, il 21 marzo, le vittime delle mafie, come avviene dal 1996, rappresenta – soprattutto fra i giovani – un nobile momento di riflessione per una società civile come diniego a qualsiasi forma di assoggettamento mafioso e per dire grazie a quanti vi hanno lasciato la vita nell’adempimento del dovere o per aver frapposto resistenza ai ricatti delle mafie.
Vittime delle mafie, ad oggi, ne ricordiamo nelle fila della magistratura, delle forze di polizia, tra gli uomini politici, nelle persone di culto, negli imprenditori ed anche nei privati cittadini inermi, bambini e ragazzi compresi.
Le mafie, di solito, non disdegnano di mietere vittime anche al loro interno come metodo per manifestare autoritarismo e prevaricazione sulle coscienze dei loro adepti più deboli o timorosi e, soprattutto, per dissuaderli dal dissociarsi.
Tra le attività preventive è, sicuramente, la fondamentale arma vincente quella che il nostro Stato di diritto espleta, con tutte le risorse umane ed i mezzi di cui dispone, verso le strutture sociali, ad iniziare dalla più piccola cellula ed anche la più vulnerabile, quale la famiglia, scoraggiando devianze scolastiche e fornendo sostegni ai disoccupati ed a quelli privi di fonti di reddito.
Per bloccare o arginare sul nascere i fenomeni mafiosi lo Stato affina sempre più gli strumenti legislativi e svolge attività mirate e selettive, estendendo obblighi giuridici in capo a determinate istituzioni pubbliche, enti e soggetti specifici per segnalazioni di operazioni sospette, tra cui un notevole apporto deriverebbe dagli studi notarili.
Le restrizioni carcerarie non sempre sono sufficienti a svolgere le finalità di cui al dettato costituzionale previsto dall’articolo 27 quando afferma che: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.”
Ed in particolare le speciali restrizioni dettate dall’articolo 41/bis dell’ordinamento penitenziario sono continuamente oggetto di critiche proprio perché ritenute non in armonia con tale principio costituzionale e con la recente sentenza della Corte di Giustizia europea sull’ergastolo ostativo.
Sarebbe auspicabile che il percorso della rieducazione dei detenuti per i delitti di mafia, fosse esteso ai componenti dei loro nuclei familiari per una compiuta e tangibile forma di dissociazione con la criminalità organizzata,