mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Il Cittadino

Ecologia del tempo di guerra

Gli applausi tributati venerdì scorso dal Parlamento a Mario Draghi per la sua affermazione – pronunciata con l’enfasi dì un atto coraggioso, quasi di sfida – che «riapriremo le centrali a carbone» fanno capire, forse più di qualsiasi altra cosa, le conseguenze per noi occidentali dell’invasione dell’Ucraina da parte di Putin.

L’atto di guerra ha messo l’Occidente a nudo, evidenziando tutti i limiti del nostro vivere privilegiato e del nostro rifiuto dì affrontare una situazione che mentalmente rifiutiamo e che comporterebbe sacrifici e pericoli che non siamo disposti a correre.

Il nostro privilegiato vivere da ricchi ci ha portato ad una valutazione distorta della realtà, attribuendo un valore esagerato a temi e problematiche che improvvisamente appaiono più lontani.

Putin aveva compreso tutto ciò ed ha giocato con l’Occidente come il gatto col topo, colpendo quando e come ha ritenuto dì fare, certo che non avrebbe incontrato alcuna reazione preoccupante: tali non sono le sanzioni economiche che – ne sono certo – saranno pagate più dall’Europa e dall’USA che le infliggono, che dalla Russia che le riceve. Già si sa che il grano russo, oggetto di un primo embargo, è stato comprato interamente dalla Cina: la quale, fin dalle Olimpiadi dì Pechino del 2008, ha messo in chiaro che la democrazia ed i diritti civili dovevano restare fuori dai suoi confini; e nessuno ha mai più osato disturbarla; neppure per difendere la democrazia ad Hong Kong.

Così come, di fronte all’invasione dell’Ucraina, immediatamente l’evoluto e democratico Presidente Biden si è affrettato a dire – come aveva fatto l’anno prima in Afghanistan abbandonando quel popolo nelle mani dei Talebani e accettando la riduzione in schiavitù delle donne afghane – che nemmeno una vita americana sarebbe stata sacrificata per difendere l’Ucraina.

Dimentico egli, con tutti i leader delle nazioni più ricche, che la democrazia, persino in America, ha richiesto il sacrificio di vite umane per nascere e per essere poi difesa.

Ma torniamo all’applauso per l’annuncio del Presidente Draghi. Un applauso quasi “liberatorio”, direi, e che attesta due fatti. Uno, negativo: la constatazione dì una diffusa incultura ecologica tra i nostri parlamentari: i quali, evidentemente, hanno approvato la recente modifica costituzionale “ambientale” più per dovere, che per convinzione, e che hanno accolto quell’annuncio come la fine dei vincoli ambientali, che “frenano” l’Italia. L’altro, positivo: perché – discorsi sul carbone a parte – segna l’avvio di una nuova stagione ambientalista, più concreta e meno ideologizzata.

Non sarà sfuggito, infatti, come con l’invasione russa dell’Ucraina siano subito emersi rilievi non nuovi verso la politica ecologica, che hanno assunto però una nuova forza alla luce degli eventi di questi giorni. Si è trattato della presa di coscienza quasi collettiva della nostra piena dipendenza energetica da altri Paesi, dell’autonomia che non abbiamo mai ricercato in forza di principi astratti. È vero, abbiamo rifiutato il nucleare: ma il nostro Nord è circondato da centrali nucleari dei paesi confinanti, che non danno nessuna garanzia di non infezione del territorio italiano in caso di problemi. Certamente siamo stati eroici a rinunciare a miliardi di metri cubi di gas, con una produzione scesa dai quasi venti miliardi di metri cubi del 2000 ai 3 miliardi di oggi. Un esempio ideologico. Ma abbiamo ridotto la produzione, non il consumo. Così come col petrolio. Le piattaforme petrolifere sono rare nei nostri mari; e tutte ormai antiche. L’esempio della Basilicata ha dissuaso chiunque dal fare ricerca: non per ragioni ecologiche, ma burocratiche e gestionali.

Eppure nessuno pensa di rinunciare al riscaldamento ed ai suoi agi perché c’è la guerra in Ucraina e il gas non arriva più in Italia o, se arriva, costa troppo. Nessuno pensa di poter rinunciare all’automobile, neppure se la benzina che in questi giorni sta superando i due euro al litro raddoppiasse e si avvicinasse a costare cinque euro al litro.

Non ho ricette da dare per una vera e a questo punto non più rinviabile – anzi: urgentissima, – transizione ecologica, ma so soltanto che si deve studiare moltissimo per verificare se i progressi tecnici di impianti storicamente oggetto di repulsione, ne consentano oggi un uso “sostenibile”.

Si dovrà verificare l’effettiva efficacia, in ambito di raccolta urbana di certi tipi di raccolta differenziata, che non si riesce a riciclare. Forse pensare allo smaltimento di quei rifiuti tramite termovalorizzatori di concezione moderna non sarebbe una bestemmia ambientale.

Probabilmente sarebbe anche ora di prestare maggiore attenzione a certi tipi di inquinamento, che hanno poca presa sui media, ma che sono di enorme impatto. Mi riferisco all’uso incontrollato del territorio, laddove si dovrebbe favorire il recupero più dell’espansione. O a certi equivoci ecologici quale l’energia da biomasse, quando favorisce il taglio indiscriminato dei boschi.

Insomma, c’è la guerra: allora pensiamo ad una ecologia nuova, adatta al tempo della guerra: più concreta, meno ideologica, da uomini che devono pensare alle esigenze primarie, non al superfluo, come è stato, in Occidente, in questi ultimi decenni.

Pensiamoci sempre: ma con la coscienza che i carri armati e le bombe inquinano più di qualsiasi altra cosa, ma che questa è l’ultima preoccupazione di chi li usa.

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