Non entrerò nel merito dei dettagli storico-politici che riempiono l’essenza di descrizioni, illazioni o previsioni pratiche rispetto all’invasione russa dell’Ucraina; non lo farò nemmeno da un punto di vista strettamente etico, perché in primo luogo credo fortemente nelle parole di Weil quando scriveva ne Il libro del potere che le parole ragionevoli cadono nel vuoto: se è un inferiore a pronunciarle viene punito e messo a tacere; se – invece – è un capo, non le tradurrà mai in azione. E al bisogno troverà sempre un dio (spirituale o valoriale) che consiglierà l’irragionevolezza. Alla fine l’idea stessa che si possa voler sfuggire al mandato ricevuto in sorte dal destino, quello di uccidere e morire, svanisce dalla mente.
L’INNOCENZA DEI COMBATTENTI: SIA VINCITORI CHE VINTI
Così anche le parole di Achille iracondo ma ragionevole, passano dalla mente: “Non c’è nulla, credete, per me che valga come la vita: neppure tutti i tesori che possedeva Ilio, nel passato, in tempo di pace (…) La vita di un uomo non torna più indietro, non si può riavere né come preda né per acquisto”. Infatti la filosofa definisce un comune sentire di tutti i combattenti, che si avvertono “tutti condannati”. Perché la violenza schiaccia tutto quello che tocca. finisce con l’apparire estranea a colui che la esercita come a colui che la subisce; da qui l’idea di un destino sotto il quale carnefici e vittime sono ugualmente innocenti, vincitori e vinti affratellati da una comune miseria: il vinto è causa di sofferenza per il vincitore come il vincitore per il vinto.
L’ASSUEFAZIONE ALL’IRRESISTIBILE ECCESSO
Se infatti un uso moderato della forza, l’unico che permetterebbe di sfuggire all’ingranaggio, richiederebbe una virtù più che umana, rara quanto la dignità costante nella debolezza – allora è impossibile applicare a tali dinamiche bellicose un canone di moderazione ed equilibrio perché – per sua natura – l’attacco dell’altro ne è privo: è unicamente figlio dell’eccesso, il quale a sua volta non è il frutto di un pensiero politico ma della tentazione – definita irresistibile dalla filosofa francese – dello stesso eccesso; e producente un’indifferenza del forte verso il debole, tale da procurare assuefazione anche per chi ne è oggetto: da essere considerata cioè perfettamente ‘normale’. Normale come si tenta, in ogni occasione della storia limitrofa a questa odierna, di rendere una condizione che non può, non deve esserlo; che non deve assumere quei tratti di banalità che si mischiano subdolamente inquinando la quotidianità e sono caratteristici del potere cui assurge il male.