lunedì, 16 Dicembre, 2024
Economia

Piccole imprese, grandi tasse

Sono il “tessuto connettivo” della economia italiana, danno lavoro, creano innovazione e pagano più tasse delle grandi aziende, ma contano sempre meno, è il destino delle piccole e medie imprese. Le più tartassate e dimenticate dalla politica. Così accade che per il centro studi della Cgia di Mestre “Autonomi e piccole imprese versano in Italia più tasse di quelle medio-grandi”. Si potrebbe dire che la condizione dei piccoli imprenditori riflette pienamente le contraddizioni di un Paese che non riesce ad avere una visione liberale e aperta alle necessità di un sistema produttivo moderno, a dotarsi di una pubblica amministrazione efficiente, e mettere argine ad una burocrazia dispendiosa e invasiva. Eppure le piccole e medie imprese rappresentano il volano dell’economia nazionale, tanto che la loro produttività significa ricchezza e lavoro diffusi.

Per rilanciare la crescita dell’Italia che è virtualmente a zero (+0,2%) da almeno vent’anni, la Cgia di Mestre ( Associazione Artigiani e Piccole Imprese) ora propone al nuovo governo 5s-Pd, cinque interventi che possono rappresentare una svolta positiva. Nella sintesi fatta dall’Associazione al primo punto da mettere in campo per le Pmi c’è: “la forte riduzione delle tasse e la semplificazione del sistema tributario, con uno choc fiscale che riduca, in 3 anni, la pressione fiscale di almeno 5 punti percentuali”, ma è solo l’inizio di ciò che si dovrebbe fare. Per la Cgia, inoltre, “si deve puntare a favorire l’accesso al credito, tornare ad investire, incentivare la formazione, soprattutto quella ‘professionalizzante’ e sostenere l’impresa 4.0, con una attenzione anche alle micro imprese e a quelle artigiane”.

C’è un altro capitolo che sta a cuore alla Cgia, ed è quello delle disuguaglianze territoriali nel fare imprenditoria, con un distacco sempre più marcato tra il nord e il sud, una forbice che si sta progressivamente allargando a scapito delle imprese del Mezzogiorno. “Uno dei problemi della nostra economia”, fa presente il coordinatore dell’Ufficio studi Cgia, Paolo Zabeo, “è il persistere di forti squilibri territoriali tra Nord e Sud: Negli ultimi 20 anni, ad esempio, il settentrione è cresciuto del 7,5 per cento, il Mezzogiorno, invece, è crollato di 6 punti percentuali. Sempre in questo arco temporale, la crescita media annua registrata nel settentrione è stata dello 0,4 per cento, pari al doppio del risultato medio nazionale. Nel meridione”, calcola Paolo Zabeo, “invece, il Pil medio annuo ha subito una contrazione dello 0,3 per cento”.

Dati che sono stati anche alla base della riflessione del presidente Giuseppe Conte durante la visita ad Avellino dove ha indicato nel rilancio del Meridione un punto di rilievo del suo premierato: “Il governo non vuole assolutamente arretrare sul rilancio del Sud, non c’è una ricetta che può funzionare, c’è un’attenzione costante, strategica. Il riscatto è affidato innanzitutto ai meridionali”. E ancora ha promesso Conte, “Il nuovo governo sta lavorando ad un piano strutturale di rilancio del Mezzogiorno, che sarà parte integrante del ‘patto con l’Europa’. Voglio essere estremamente chiaro”, ha sottolineato il presidente del Consiglio, “si tratta di una sfida decisiva. Per affrontarla è necessario il concorso delle migliori risorse, in una prospettiva di crescita socio-economico e culturale, che deve riguardare l’intero Paese”.

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