La bandiera del Qatar sventola a pochi metri dall’Arc de Triomphe, lì dove riposa il Milite Ignoto e il 19 luglio di ogni anno si celebra l’anniversario della Rivoluzione e la nascita della Francia moderna. L’ambasciata di Doha non poteva scegliere luogo più simbolico per sottolineare il profondo legame che è cresciuto, nel tempo, tra i due paesi. Una “liaison” che, negli ultimi vent’anni, si è ancora più rafforzata fino a diventare un asse strategico e finanziario e che non è mai stato scalfito dagli avvicendamenti dei presidenti all’Eliseo.
Sarkozy, Hollande, Macron: storie differenti, coalizioni di governo lontanissime una dall’altra, ma quando si tratta di rapporti con il Qatar l’attenzione rimane sempre la stessa.
Secondo analisti finanziari ammonterebbero ad almeno un miliardo di euro l’anno gli investimenti del Qatar in Francia: real estate, hotel, tecnologia, sport, tv. L’emiro Tamim al-Thani è di casa nella “Ville Lumière”, ricevuto con tutti gli onori da Sarkozy, Hollande. E proprio sotto la presidenza socialista si è sviluppato un progetto finanziato dal fondo sovrano del Qatar per intervenire sulle disastrate periferie francesi. Progetto fortemente criticato dal Front National con l’accusa di mascherare un’islamizzazione delle banlieues. Il governo è presto corso ai ripari aggiungendo ai 50 miliardi offerti da Doha altrettanti miliardi versati dal governo francese e da privati. La legge è stata inoltre modificata destinando somme e risorse non solo alle banlieues ma ad aree rurali e a dipartimenti che hanno dovuto affrontare una rovinosa deindustrializzazione. Tutto ciò non ha impedito tuttavia a larghe fasce dell’opinione pubblica e dell’informazione di stigmatizzare una decisione che può apparire come un arretramento dello stato nazionale, un’abdicazione ad assicurare i servizi che la cosa pubblica deve offrire. Una vera e propria resa dello stato sociale in nome di una razionalizzazione di costi e servizi appaltati a privati e, in questo caso, con l’intervento di un paese straniero.