domenica, 17 Novembre, 2024
Cronache marziane

L’esito della contesa

Finalmente tornato ad installarsi nella biblioteca di casa mia, Kurt si è lamentato perché – a suo dire – non avrei fatto tesoro delle notizie sulle elezioni del Presidente della Repubblica che Lui mi aveva fornito con largo anticipo rispetto a quanto accaduto sabato scorso.

Contento però del suo ritorno, ho preferito non polemizzare con Lui anche stavolta e mi sono limitato a fargli  osservare che quanto mi era venuto dicendo nei giorni precedenti alla rielezione di Sergio Mattarella, era stato espresso attraverso suoi cenni piuttosto criptici ad una situazione che non avrebbe dovuto avere l’esito imprevisto che ormai tutti conosciamo.

Dunque – se i Grandi Elettori non fossero stati, a loro volta, dominati dalla paura di tornare a casa (e per sempre!), non avrebbero – probabilmente – fatto scelte diverse nelle votazioni precedenti a quella della riconferma del Presidente della Repubblica, o meglio dei due Presidenti uniti dalle circostanze come fratelli siamesi: il Capo dello Stato da una parte e il Presidente del Consiglio dall’altra.

Il Marziano mi ha a quel punto interrotto per farmi di contro osservare che – al termine del settennato – avrebbe dovuto considerarsi in palio solamente l’elezione del Capo dello Stato e che non c’erano da occupare altre caselle, ma è stato facile a mia volta controbattere, osservando cinicamente che il ritorno del precedente inquilino sul Colle ha pure segnato il mancato trasloco del Presidente del Consiglio in quello stesso luogo e, a questa prima conseguenza dell’accaduto, ne sarebbero seguite inevitabilmente altre: tutte all’insegna della più perfetta staticità  (anche se travestita da altrettanto apparente mobilità) e ciò  vuole innanzitutto  significare che – essendo stati i Grandi Elettori solamente capaci di dilettarsi per quasi una settimana con il giuoco delle belle statuine – quel giuoco è destinato a durare ancora per diverso tempo, magari fino alle elezioni politiche del prossimo anno.

Comunque non è stato questo l’argomento principale della nostra conversazione, ma piuttosto come e perché sia potuto accadere – per la seconda volta consecutiva – che il capo dello Stato venga rieletto al termine del settennato per documentata incapacità dei suoi elettori di scegliergli un successore.

Nei primitivi regimi monarchici una simile evenienza avrebbe comportato inevitabilmente la fine della dinastia al potere, ma altrettanto dovrebbe accadere in un regime repubblicano nato all’esito di un referendum come quello che si tenne – in Italia – il 2 giugno del 1946; con una differenza però: che in questo secondo caso, mancando la dinastia, occorre individuare, nella volontà degli elettori prima e dei Grandi Elettori poi, lo strumento attraverso cui il potere di vertice dello Stato va ad incarnarsi in una determinata persona fisica.

Spesso  un concetto di così palmare evidenza non viene neanche visto dagli studiosi del diritto pubblico (e men che mai dai cultori della Scienza Politica), ma questa dimenticanza non dovrebbe avere gravi conseguenze pratiche, ove gli elettori prima e in Grandi Elettori poi avessero comunque coscienza della esistenza di una delega di secondo grado anch’essa comunque riferibile alla volontà del popolo sovrano.

Le vicende degli ultimi trent’anni hanno d’altronde progressivamente attenuato questa presa di coscienza, fino al punto da consentirne la sostituzione con i giochini di palazzo che in questi giorni hanno occupato le cronache politiche nostrane.

Attribuire quest’anomalia all’instabilità nella permanenza del gruppo politico in cui ogni parlamentare si è iscritto all’inizio del proprio mandato vuol dire confondere la premessa con la conseguenza: in altre parole vuol dire che il parlamentare non merita la libertà di mandato che la Costituzione gli attribuisce; eppure quella libertà dovrebbe porsi come prima garanzia del rispetto della volontà del mandante, ovvero dell’elettore e – quando quella garanzia vien meno – vuol anche significare che l’elettore-mandante è stato ingannato dal proprio mandatario.

Occorre così ricercare le ragioni di quell’inganno, che saranno pure molteplici, ma che vedono nel vincolo di obbedienza, fra l’eletto e colui che lo ha messo in lista, la prima causa della mobilità, cioè del passaggio da un gruppo all’altro.

Il Parlamento non conosce infatti i partiti, ma i gruppi; questi ultimi sono però – a loro volta – la proiezione dei partiti sul Parlamento, o – se si preferisce – la forma che ciascun partito assume all’interno del Parlamento stesso.

Dobbiamo così spostare l’attenzione dal Parlamento, quale attuatore delle proposte politiche di ciascun partito, alla figura di quest’ultimo, che ne è l’ideatore: ma se l’ideatore abbandona il proprio ruolo di proponente per limitarsi a governare gli interessi di coloro che ne hanno (in modi più o meno palesi) insediato la classe dirigente, arriviamo a vedersi generare un corto circuito fra mezzi e fini che può divenire base di una crisi dello stesso sistema parlamentare, con le conseguenze che in questi giorni abbiamo – a distanza di un decennio – visto nuovamente.

Domandiamoci allora come porre fine a questa degenerazione, ormai arrivata a un punto di non ritorno.

La risposta è semplice: occorre togliere ai vertici dei partiti il potere di scelta degli eletti (non dei candidati: sia ben chiaro), restituendolo agli elettori e per fare questo occorre una riforma del sistema elettorale che torni finalmente a consentire agli elettori di esercitare un effettivo potere di scelta degli eletti, in conformità con il dettato costituzionale; solo così, infatti, questi ultimi – quando diventeranno, a loro volta, Grandi Elettori (come nel caso di scelta del nuovo Capo dello Stato) – potranno liberamente confrontarsi con i vertici dei rispettivi partiti per individuare insieme la personalità maggiormente condivisa per ricoprire quella carica.

Kurt ha ascoltato in silenzio le mie argomentazioni e mi ha lasciato dire anche quando la conversazione è diventata un monologo; poi però  – scuotendo la testa – mi ha indicato uno scaffale della biblioteca ove conservo diversi volumi sull’illuminismo e la sua influenza sui movimenti politici che – nel corso degli ultimi  tre secoli  – hanno fatto naufragare i poteri assoluti .

“Non voglio deluderti – ha detto – ma ti ricordo che le grandi idee camminano sulle gambe degli uomini e, fino a che questi ultimi preferiranno la comodità delle poltrone alla fatica richiesta per conquistare le vette, ci sarà ben poco da fare per modificare la situazione.”

Evidentemente il Marziano ama leggere, ma non sempre riesce a contestualizzare le proprie letture, ponendole entro i percorsi ambigui della Storia: quest’ultima considerazione, però, la tengo per me.

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