Grazie ai corridoi umanitari, ieri sono giunti sani e salvi in Italia altri 48 profughi provenienti per lo più da Afghanistan, Camerun, Congo, Iraq, Siria e Somalia. Saranno accolti in 10 regioni italiane con precisi percorsi di integrazione. Tra loro anche alcuni minori non accompagnati. Allo stato attuale, questa è l’unica via percorribile per portare al sicuro migranti economici e profughi di guerra, sottraendoli ai mercanti di esseri umani o all’ecatombe che si consuma nel Mediterraneo. Perché, però, questo strumento rimane così strettamente contingentato e riservato a un numero basso di richiedenti asilo? Ne abbiamo parlato con Padre Ripamonti, direttore del Centro Astalli.
Il Centro Astalli da 40 anni si occupa di accoglienza e integrazione dei rifugiati. Nota qualche passo in avanti nell’approccio al problema dei flussi migratori?
Piccoli passi sì ma il cammino è ancora lungo perché negli ultimi anni sono sempre prevalsi gli interessi dei singoli Stati anziché cercare di vedere il mondo dalla prospettiva di coloro che scappano da persecuzioni, situazioni d’ingiustizia e guerre. Finché guardiamo il mondo dal nostro punto di vista altri passi avanti saranno difficili da fare.
Per ora la soluzione dei corridoi umanitari sembrerebbe la migliore in campo, è così?
Per ora è l’unica via sicura per raggiungere l’Italia e gli altri Paesi europei. Una soluzione che ha contribuito a dare una spinta alla gestione del fenomeno migratorio, che speriamo possa diventare politica europea strutturale e per numeri significativi di migranti. Sicuramente permette una gestione più ordinata del fenomeno migratorio.
I numeri però sono ancora bassi, cosa impedisce di ampliare questa attività?
Il problema principale è che si usa l’immigrazione come arma politica per spostare i voti degli elettori. L’arrivo anche di un piccolo numero di rifugiati può rappresentare un motivo di sconfitta politica per alcuni Governi, soprattutto quelli di destra. È un tema attraverso il quale si agisce sul consenso. Difficile, quindi, riuscire a ragionare con quella razionalità e quel buon senso necessari a garantire vie legali e sicure per l’accesso in Europa.
Come Centro Astalli potete contare su una rete internazionale di collaboratori. Riuscite ad influire su quei Governi che sono ideologicamente più distanti?
Noi siamo presenti in tutti gli Stati europei e abbiamo un ufficio regionale a Bruxelles che ha un ruolo di coordinamento. Svolgiamo attività anche in quei Paesi più ostili al problema del fenomeno migratorio. Cerchiamo di sviluppare progetti insieme che possano rappresentare delle best practice da condividere, con l’obiettivo di stimolare una collaborazione tra Stati e mandare un segnale forte a livello europeo.
Secondo voi sarebbero necessari nuovi interventi normativi a livello europeo per affrontare il problema?
Prima che di nuove leggi bisognerebbe invertire la tendenza dei Paesi europei a esternalizzare la gestione della protezione dei confini. Questo fenomeno ci dice che l’Unione Europea, anziché garantire la protezione internazionale ai migranti, si difende da queste persone, cercando di lasciarle il più possibile fuori dal territorio. Occorre garantire maggiormente il diritto di asilo ai richiedenti, magari rivedendone le classificazioni ormai desuete. I migranti climatici, ad esempio, non esistevano ai tempi della Convenzione di Ginevra.
Avete un accordo con il servizio civile per coinvolgere i giovani nel vostro impegno. Come rispondono i ragazzi, mostrano sensibilità?
È una sensibilità che va accompagnata ed educata. Abbiamo progetti nelle scuole medie e superiori con lo scopo di coinvolgerli direttamente. Siamo convinti che se i ragazzi hanno la possibilità di incontrare di persona un rifugiato, magari un loro coetaneo che ha vissuto esperienze di vita difficili, gli sia più facile identificarvisi e maturare un senso maggiore di accoglienza e disponibilità verso il prossimo.