domenica, 15 Dicembre, 2024
Manica Larga

La credibilità perduta di Boris e il default democratico

A ripensarci oggi, quando qualche anno fa pronunciò quel celebre “Take back control”, si ha la sensazione che quella possa diventare una frase buona un po’ per tutte le stagioni e le occasioni.

In questo momento, in effetti, avrebbero ragione a pronunciarla tutti coloro che da un lato ci avevano creduto, tutti quelli che sono stati all’opposizione a destra e a manca, e un po’ tutti quelli che fuori dal proscenio questa storia della Brexit e di Boris Johnson l’hanno subita.

Una questione di credibilità

Intendiamoci: per una roba del genere, ovvero prendere parte a una festa privata nel pieno del lockdown, probabilmente in Italia non sarebbe successo un bel nulla. E questo a ben vedere nel lungo periodo rappresenta un problema di credibilità dell’istituzione, a causa dell’avvio di un circolo vizioso senza fine. Se lo ha fatto lui e non è successo niente, non vedo perché non possa farlo anche io. Il meccanismo lo spiegava bene uno studioso dei mass media, Paolo Taggi, in un manuale di qualche tempo fa dove parlava di innalzamento della soglia di accettabilità. In altri termini, un pezzo alla volta, tutto poi diventa normale.

Ma gli inglesi non sono fatti così, ci sono dei limiti invalicabili. E uno di questi rientra nella categoria dell’incoerenza tra il dire e il fare. Ci si aspetta sempre l’esempio. È una questione di fiducia e non si fanno sconti a nessuno. Forse rientra nel loro animo commerciale visto che nel business a nessuno piacciono le sorprese.

E forse, proprio per questo però, si avverte quella sensazione per cui tra il dito e la luna si continui a guardare con ostinazione il dito. Ovvero, non ci sono ragionamenti di sostanza su quello che la Brexit, la grande eredità di BoJo, ha significato e potrebbe significare proprio per il business, nonostante i primi dati poco rassicuranti comincino ad arrivare in tema di export.

La crisi di leadership delle democrazie occidentali

Inutile girarci intorno: grande responsabilità ce l’ha il Labour che oggi ne chiede le dimissioni al grido di “The party is over”, ma che a suo tempo avrebbe dovuto avere una voce sola, ferma, anche soltanto per dire non è il momento oppure non così. Avrebbe dovuto e potuto, con la lungimiranza di un grande e storico partito di massa, raccogliere tutte le forze sociali affinché il destino di un popolo e dei suoi affezionati non diventasse una scommessa da pub quale si è rivelata. E invece ci fu il nulla.

Insomma, che sia l’uno o l’altro, quello che succede nel Regno Unito in questi giorni non è niente altro che l’ennesima fotografia della crisi di leadership in cui versano le democrazie occidentali. Un default storico che ha origine per molti esperti nel combinato disposto di ingiustizie sociali, polarizzazione dei social media e povertà educative.

Tornando al nostro, voleva una statua. La morale di questa storia è che quando ci si concentra sul risultato finale quello diventa il momento in cui ciò che vogliamo non si realizza. E Boris, in questo, è solo un uomo come tanti altri.

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