domenica, 17 Novembre, 2024
Attualità

Pensioni. Pressioni dei sindacati. Orlando: “Flessibilità, giovani e previdenza complementare”

Parte la trattativa col Governo

Posizioni distanti ma una convergenza sarà trovata, questo auspica il ministro del lavoro, Orlando. Ma ai sindacati non basta e chiedono spiegazioni su risorse, tempi e interlocutori istituzionali.
È iniziata ieri la lunga marcia della riforma delle pensioni, quella che secondo i leader sindacali, Landini, Sbarra e Bombardieri dovrà ridurre l’età pensionabile, creare flessibilità in uscita dal lavoro già a partire dai 62 anni, pensare ai giovani, alle donne e aumentare il livello economico dell’assegno pensionistico. Per il Governo sono richieste legittime alla sola condizione che si rispettino i tetti di spesa e per il 2022, come già in vigore Quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi).
I leader sindacali di Cgil, Cisl e Uil hanno varcato la soglia del Ministero del Lavoro alle 18.30, riunione per mettere a punto un percorso e un insieme di ipotesi. Alle 20.30 le dichiarazioni. A spiegare le ragioni del faccia a faccia, il ministro Andrea Orlando. “Questo primo incontro è la prosecuzione del lavoro che abbiamo impostato con il metodo del dialogo sociale e che deve portare in tempi relativamente brevi ad interventi di riforma”, rivela Orlando, “Definiremo un calendario di incontri con i quali affronteremo tre questioni principali”.

Impegno mantenuto

Il Governo Draghi ha tenuto fede alla promessa di tornare alla trattativa ad inizio gennaio, impegno mantenuto, ma per i sindacati non basta. A entrare nel merito delle proposte del Governo è ancora il ministro del Lavoro. “Il primo tema è relativo alla questione della flessibilità legata alla natura contributiva e all’equilibrio finanziario del sistema che deve tenere conto delle diverse aspettative di vita, delle caratteristiche del lavoro, del lavoro di cura e domestico delle donne”. “Il secondo, è quello della prospettiva del sistema”, aggiunge Andrea Orlando, “cosa succede ad una larga fascia di lavoratori, non solo giovani, che per una serie di fattori, la discontinuità dell’attività lavorativa, la mancata crescita dei salari, arriverà all’età della pensione con pensioni che rischiano di non essere adeguate. La terza questione è quella relativa al funzionamento del sistema integrativo e complementare”.

Sindacati e l’attesa “politica”

Il confronto tecnico diverrà dal prossimo round più politico che numerica, a Cgil, Cisl e Uil, infatti, interessa sapere se c’è la volontà del Governo di destinare sulle pensioni maggiori fondi per dar vita a tre percorsi: flessibilità in uscita; trattamenti previdenziali di giovani e donne; previdenza complementare. Quindi non ritocchi a leggi esistenti e aggiustamenti di “Quote” ma una riforma strutturale e che sappia da subito su quale cifra potrà contare. Il punto economico sarà quindi decisivo. Per il Governo, invece, di fondi si potrà parlare ad Aprile alla presentazione del Documento di economia e finanza (Def), quindi non ora. Per i sindacati tirarla per le lunghe significa rimanere su ipotesi tecniche senza poter sapere quale riforma verrà fuori.
Ieri è parso evidente malgrado gli auspici prima e filtrati dall’incontro.

Compromesso difficile

Non sarà facile trovare una compromesso tra le proposte di Cgil, Cisl e Uil di una flessibilità in uscita già a partire dai 62 anni d’età e quella convinta del premier Draghi di mantenere sotto controllo la spesa pensionistica. Inoltre se i sindacati hanno fretta di chiudere su un argomento come le pensioni, tema che sta a loro particolarmente a cuore il Governo non ha tutta questa fretta, anzi proprio l’idea del presidente del Consiglio di avere un anno davanti per discutere per individuare soluzioni condivise, sposta le lancette della riforma a fine anno quando andrà definita la manovra economica per il 2023. Un arco di tempo che metterebbe i sindacati davanti ad una trattativa lunga e senza esito scontato, dal momento che già dai prossimi giorni il Governo entrerà in balia delle onde di un voto per l’elezione del nuovo Capo dello Stato che vede lo stesso premier tra i protagonisti della partita istituzionale.

Equilibrio dei conti

L’obiettivo tuttavia è varare una legge di riforma condivisa per correggere la legge Fornero – su cui gli stessi partiti della maggioranza di Governo sono contrari -, nel solco del metodo contributivo, su una linea del (“più versi e più ottieni”, per usare le parole del premier). A rimarcare questa impostazione Landini, Sbarra e Bombardieri hanno trovato a Palazzo Chigi il ministro dell’Economia, Daniele Franco, e quello del Lavoro, Andrea Orlando, che hanno espresso la “ferma volontà” di un nuovo ed equilibrato assetto pensionistico.

I punti da discutere

Le difficoltà non mancano. Oltre all’età di uscita le questioni sperate sono diverse, ad esempio, quale futuro avranno i giovani di oggi su un domani pensionistico? In ballo c’è una copertura previdenziale che però stando alle attuali forme contrattuali discontinue, si presenta difficile da stabilire, per questo i sindacati insistono nel trovare nuove forme di previdenza e rilanciare i fondi pensione. I sindacati premono per uno scorporo delle voci assistenziali da quelle previdenziali, in modo da rendere il capitolo pensioni meno pesante per il bilancio dello Stato. Il banco di prova di questa separazione potrebbe essere proprio quello dei giovani, con un nuovo meccanismo di tutela pensionistica con una “pensione di garanzia”, con contribuzioni figurative anche per i periodi formativi. L’obiettivo principale dei sindacati rimane una flessibilità in uscita, con possibilità di pensionamento già a 62 anni o con 41 anni di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica. Posizione che non incontra il favore del Governo.

La proposta Inps

Nel mezzo c’è la proposta dell’Istituto di previdenza, formulata dal presidente Inps, Pasquale Tridico, che prevede il pensionamento a 63 anni con almeno 20 anni di contributi e aver maturato una quota contributiva di almeno 1,2 volte l’assegno sociale.
La pensione sarebbe calcolata in due fasi. Una prima parte dell’assegno a 63 anni calcolando solo la parte contributiva e, successivamente, al raggiungimento della pensione di vecchiaia a 67 anni ricevere anche la parte di assegno relativa alla parte di retributivo. La sostenibilità finanziaria sarebbe poco onerosa per lo Stato con costi che partirebbero da meno di 500 milioni nel 2023 per arrivare in tre anni a poco più di un miliardo di euro, con una platea di beneficiari previsti nel triennio di oltre 200 mila lavoratori. La proposta Tridico è stata per ora messa in ombra, ma avrebbe una possibilità in più per i sindacati di trovare una soluzione in caso di muro contro muro con un Esecutivo più attento a soluzioni convenienti per le casse dello Stato e meno propenso ad abbassare l’asticella dei conti.

La grande incognita

Come osservato anche ieri sera la ripresa delle trattative cade nei giorni convulsi della scelta del nuovo presidente della Repubblica. I sindacati già a novembre avevano posto un dubbio direttamente al presidente del Consiglio chiedendo se sarebbe stato lui a concludere la trattativa o un altro premier. Non ci fu risposta chiara ma una vaga ipotesi che sarebbe stato lo stesso Draghi a portare in porto la riforma. L’incontro di ieri ha sancito che almeno la prima riunione del nuovo anno le cose sono rimaste “tale e quali”, mentre sul futuro si navigherà a vista.

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