La Chiesa francese nell’immediato dopoguerra era profondamente preoccupata di riacquistare terreno tra i laici lavoratori nelle industrie, e aveva affidato gran parte di questo compito all’azione promossa in quegli anni dalla JOC (Gioventù Operaia Cristiana), una delle poche associazioni cattoliche che dopo il conflitto mondiale contribuì a modificare le istituzioni nascenti o esistenti a favore della gioventù e particolarmente di quella operaia, difendendone gli interessi presso gli organi pubblici e privati e suggerendo al governo e alle autorità competenti proposte e realizzazioni atte a favorire politiche rivolte alla gioventù operaia.
“Il mondo intero – scriverà il card. Suhard, Arcivescovo di Parigi nel XX° anno di vita della JOC – si interessa ai vostri principii. L’idea del laicato è in marcia ed è irresistibile (…) Niente vi ha scoraggiato, né le difficoltà né le incomprensioni …siete stati dei realisti. Avete creduto a questa classe operaia, alla sua esistenza, ai suoi problemi, alle sue giuste aspirazioni. Avete creduto nel suo avvenire; poiché essa avrà una parte preponderante nell’edificazione del mondo moderno che cerchiamo”.
Aggredire i problemi della società francese post-bellica è per i cristiani un compito missionario inteso ante-litteram come una vocazione di promozione sociale per colmare le gravi ineguaglianze che si stavano determinando nel tessuto delle città.
Nello stesso senso il card. Suhard darà le direttive al suo clero:
“Il fatto che s’impone dal principio del secolo e soprattutto da venti anni è l’importanza crescente e attualmente primordiale della massa operaia nei destini della nazione e della Chiesa. Questo avvento della classe operaia ha cause profonde e in particolare una legittima reazione contro le condizioni inumane del proletariato. Notevoli ne sono le conseguenze. E una è quella di esigere che la nostra azione apostolica sia in asse con la classe operaia”.
I cattolici francesi individuano nella gioventù la grande abbandonata. La JOC francese nel dopoguerra si preoccuperà di adattarsi sempre più alla diverse età ed ai vari ambienti del mondo operaio. C’è chiaramente in questo attivismo e in una rapida successione di iniziative il disegno di diventare ponte con la realtà operaia con un realismo che solo in parte è missionario.
Sono gli anni in cui grande eco ottiene l’opuscolo “La France…pays de mission?” dove l’abbè Godin e l’abbè Daniel registravano la laicizzazione del Paese e di alcuni strati sociali, come il mondo operaio, che avrebbe portato intere masse a sentirsi sradicate dal contesto naturale. E il pericolo della laicizzazione che diventa anche esclusione è così sentito da far scrivere a A. Dewitte, assistente nazionale della JOC francese:
“Noi siamo “separati” per vocazione. E’ dunque a prezzo d’uno sforzo costante che dovrebbe ispirare tutta la nostra realtà sacerdotale, che noi assumeremo le realtà quotidiane per vivificarle. Noi siamo ai margini della vita reale (…) Se con uno sforzo noi abbiamo la preoccupazione di evitare il laicismo, noi siamo purtroppo tentati di limitare questo lavoro d’incarnazione a degli individui presi a parte degli altri e dal loro ambiente”. (3-continua)