Quando si sente parlare di malattie rare, facilmente il nostro pensiero cade nell’equivoco di associazione “raro-numericamente esiguo”, questo perché siamo abituati alle semplificazioni e alla comprensione parziale della realtà. Accade anche a me, è successo recentemente quando assistendo al focus nazionale, organizzato da “Motore Sanità”, volto a fare il punto della situazione sui pazienti affetti da malattie cosiddette “rare”, sono trasalita di fronte al numero di persone che sono costrette a fare i conti con una malattia poco nota, ma non per questo, anzi, spesso proprio per tale ragione, meno ostile, invalidante, pericolosa, isolante.
Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza non supera i 5 casi su 10.000 persone, se ne conoscono e se ne diagnosticano tra le 7.000 e le 8.000, interessando quindi milioni di persone. I dati del registro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità, stimano in Italia 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti: il 20% delle patologie riguarda pazienti in età pediatrica. Per i pazienti in età adulta, invece, le più frequenti sono le malattie del sistema nervoso e degli organi di senso (29%) e quelle del sangue e degli organi ematopoietici (18%). [Fonte: ISS 2015] Ma ancora oggi, ad esempio, gli screening neonatali ed il ritardo diagnostico fanno in modo che i SSR debbano migliorare i propri modelli assistenziali. Esistono Milioni di persone, nascoste tra le pieghe d’indifferenza che la parola “rare” implica, nella società di massa.
Milioni di persone. Milioni di persone che vivono disagi inimmaginabili, come ad esempio la necessità di ricovero per gestire un’alimentazione parenterale, imprescindibile per alcune patologie del settore. Riuscite ad immaginare, solo per fare un esempio minimo, cosa voglia dire restare ricoverati, quand’anche tutti gli altri aspetti di una malattia siano gestibili, per essere alimentati? La Rete nazionale per la prevenzione, sorveglianza, diagnosi e trattamento delle malattie rare, articolata nelle reti regionali, è finalizzata ad assicurare specifiche forme di tutela ai pazienti e ha rappresentato per molti anni il primo ed unico esempio in Europa. In 20 anni dalla sua istituzione, la Rete ha visto un progressivo miglioramento e con l’impegno sinergico delle Istituzioni, delle Associazioni dei pazienti e della Commissione Europea, è giunta alla realizzazione di 24 Reti di riferimento europeo (ERN). Le ERN, favorendo la condivisione di conoscenze, competenze e buone pratiche, facilitano l’accesso più rapido alla diagnosi e alla cura. Una delle sfide ancora aperte è l’insufficiente sviluppo di un approccio olistico, mirato cioè non solo alla malattia (alla diagnosi precoce e alle possibili terapie, sia pure fondamentali) ma alla persona tutta come ha ben spiegato Domenica Taruscio, Centro Nazionale Malattie Rare, I.S.S.
Cosa possiamo fare noi? Soprattutto, cosa sta a noi? Guardare, conoscere, porre attenzione. Questo è il modo che abbiamo noi essere umani per accogliere, per includere, per modificare e ampliare il nostro assetto culturale. Quando parliamo di qualcosa ne affermiamo l’esistenza e affermandone l’esistenza ne legittimiamo uno spazio culturale, sociale. Questo sta a noi: dare attenzione, perché ci sono milioni di persone da non lasciare sole.