Il modo tradizionale in cui si produce l’abbigliamento rischia di non essere è più sostenibile, perché le materie prime a disposizione sono limitate. II settore della moda è quello che prima di tutti potrebbe raggiungere il punto di saturazione, per i problemi legati da una parte alla sovrapproduzione, perché si produce molto di più rispetto a quello che effettivamente viene comprato e, dall’altra, al sovra-consumo, perché si è portati a comprare molto di più rispetto ai reali bisogni, spinti dal sistema fast fashion che pervade le nostre vite. Fenomeni che spingono le aziende di abbigliamento a una sovrapproduzione e a stock di invenduti tali che da non sapere come smaltire se non buttandoli letteralmente via per non svalutare la merce.
Una idea che ricicla abiti usati, riduce i consumi d’acqua e le sostanze chimiche
Da qui l’idea di una giovanissima azienda toscana, Rifò, che lancia su una piattaforma di e-commerce un brand di moda 100% sostenibile, perché riutilizza abiti che altrimenti finirebbero in una discarica o in un inceneritore, trasformandoli in nuove risorse. Tutti i materiali utilizzati sono innovativi e frutto di risparmio energetico: non solo si riciclano i vecchi indumenti, ma si riducono notevolmente i consumi di acqua, di pesticidi e di prodotti chimici utilizzati normalmente durante la produzione. Sono bandite assolutamente le sostanze nocive indicate dalle regole Europee REC (Regional Environmente Center), come le ammine aromatiche e gli alchilosati o le resine contenenti PVC. Inoltre GISA, la gestione idrica efficiente del distretto di Prato, garantisce loro la depurazione e il recupero delle acque industriali.
Tutti i filati sono rigenerati e il più possibile naturali, certificati Global Recycled Standard e creati attraverso il processo di rigenerazione di vecchi indumenti, i quali vengono sfilacciati, trasformati di nuovo in materia prima, filati e poi tessuti. Questo processo permette, nella maggioranza dei casi, di non ritingere o sovra-tingere le fibre. Le materie prime seconde sono principalmente vecchi maglioni in cashmere dai quali ne nascono di nuovi altrettanto morbidi oppure jeans al 95% cotone con i quali si dà vita a nuovi maglioncini e tessuti denim o, ancora, cotone rigenerato da scarti industriali per t shirt e polo, teli mare e scialli.
Evitare troppi fondi di magazzino
Per Rifò, però, adottare un processo di economia circolare non basta a risolvere il problema della sovrapproduzione. Se la produzione è superiore alla domanda inevitabilmente si genera sempre un invenduto che potrebbe trasformarsi in una mole di rifiuti. Una produzione circolare, per poter essere considerata sostenibile deve comprendere un piccolo stock in magazzino. Per questo l’azienda, quando lancia un nuovo prodotto, lo mette sul portale in prevendita per riuscire a capire le richieste del mercato ed evitare di produrre più di quanto necessario. Lavorare piccole quantità permette non solo di seguire meglio la produzione del capo, ma anche rispettare le tempistiche di produzione degli artigiani, secondo i criteri della Responsabilità Sociale di Impresa.
Attualmente in Italia solo circa il 30% dei rifiuti tessili prodotti annualmente viene opportunamente riciclato. Nel 2020, Rifò è riuscita a utilizzare 3,738 tonnellate di materiale tessile riciclato riportato a nuova vita, con l’ulteriore obiettivo di andare verso una produzione 0 waste, minimizzando gli scarti di produzione e i disavanzi che possono essere riutilizzati per nuove collezioni ed edizioni limitate.