“Puntare tutto sulla sicurezza, trascurando l’aspetto del recupero della persona del detenuto rende inutile gli sforzi, anche economici, dello Stato”. Carmine Uccello si è occupato di gestione delle risorse umane per conto di una importante azienda sanitaria. Oggi presiede “Carcere Vi.vo”, un’associazione legata alla Società di San Vincenzo de’ Paoli che da 40 anni entra negli istituti di pena della Campania per portare un messaggio di speranza.
Presidente lei, nel corso della sua attività di volontario in carcere, ha avuto la possibilità di interfacciarsi con ergastolani?
“Personalmente no, ma il cappellano e alcune suore sì”.
Che idea si è fatto della sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha bocciato il cd. “ergastolo ostativo”?
“Come volontario penso poco; cerco, piuttosto, di portare avanti la mia missione. E, comunque, non commento mai le sentenze”.
Cosa fate in carcere voi volontari?
“Non andiamo in carcere per curiosare o giudicare, ma per confortare, sostenere e accompagnare. Insomma per fare un cammino di detenzione insieme ai detenuti e alle loro famiglie. Sono due facce della stessa medaglia: non possiamo trascurare l’uno a discapito dell’altro”.
Quale è il vostro modus operandi abituale?
“I detenuti con una domandina chiedono di poter parlare con noi. Ci presentiamo e ascoltiamo la loro storia. In questo modo veniamo a sapere in che ambiente sono vissuti, quali esperienze hanno fatto. A volte ci contattano le famiglie per andare a trovare i congiunti. Una cosa è certa: qualsiasi volontario sa che il suo compito è quello di accompagnare la persona fino a quando non avrà scontato la sua pena”.
Nel corso di questi incontri i detenuti fanno mai accenno alle vittime dei loro reati?
“Certamente. Il perdono dei familiari delle vittime è molto importante per loro. Le posso raccontare un aneddoto?”.
Faccia pure…
“A Pasqua, il Venerdì Santo nel carcere a Poggioreale a Napoli organizziamo una via Crucis particolare…”.
Perché?
“Perché vi partecipano i detenuti, gli operatori, i volontari ed i componenti dell’associazione dei familiari delle vittime innocenti della camorra che seguono un cammino pastorale don Tonino Palmese. Carnefici e vittime si ritrovano a portare la croce della redenzione insieme, lungo le mura del perimetro della struttura. È una scena molto suggestiva ed emotivamente coinvolgente. Quando siamo andati in udienza dal Papa abbiamo ascoltato la testimonianza di un ergastolano che aveva ottenuto un permesso dopo 22 anni di detenzione e quella di una donna. Il primo ha dichiarato di essersi sentito libero il giorno in cui ha saputo di essere stato perdonato dalla madre della vittima, lei di aver raggiunto un senso di pace e di serenità interiore, quando ha perdonato l’assassino del figlio…”.
È consapevole che ci sono persone per le quali, dopo aver condotto in cella determinate persone, bisognerebbe gettare via la chiave?
“Puntare tutto sulla sicurezza, trascurando l’aspetto del recupero della persona del detenuto rende inutile gli sforzi, anche economici, dello Stato. Se chi esce torna a delinquere a cosa serve spendere tutti quei soldi? Del resto l’articolo 27 della Costituzione dice che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Ecco perché è importante lavorare nella direzione che auspichiamo, senza trascurare le famiglie”.
Quale aiuto fornite?
“Le incontriamo mensilmente per fare il punto della situazione e per venire incontro ai loro bisogni”.
Come vi mantenete?
“Non abbiamo appoggi esterni. Ci autofinanziamo e organizziamo ogni anno uno spettacolo per raccogliere fondi. Il 29 novembre prossimo abbiamo invitato in carcere per un concerto il Coro delle Voci di Massabielle. Il ricavato andrà alle famiglie dei detenuti che seguiamo direttamente. A maggio, poi, come di consueto, organizzeremo un pellegrinaggio sempre con i nuclei familiari”.