lunedì, 16 Dicembre, 2024
Ambiente

Le città malate dell’“Ecosistema urbano 2021” di Legambiente

Aumentano le auto in circolazione e diminuisce il ricorso ai mezzi pubblici. Preoccupano i livelli di smog e di perdita lungo la rete idrica. L’anno della pandemia non fa che aggravare una tendenza già consolidata che vede un’Italia immobile nelle politiche improntate alla sostenibilità.

Dal rapporto “Ecosistema urbano 2021” di Legambiente emerge la fotografia di Paese poco salubre e per nulla a misura d’uomo, a parte qualche trend positivo come l’aumento della raccolta differenziata e dei chilometri di piste e infrastrutture ciclabili, e rare best practice.

La situazione nelle città italiane

Lo studio realizzato da Legambiente in collaborazione con Ambiente Italia e Il Sole 24 ORE valuta 105 città italiane su sei dimensioni (aria, acque, rifiuti, mobilità, ambiente urbano ed energia), per un totale di 18 indicatori.

La città più virtuosa risulta Trento, che si posiziona al primo posto in classifica con 84,71 punti su 100. La città primeggia soprattutto nell’indice sul consumo di suolo, la crescita della raccolta differenziata e il calo dei livelli di NO2 e PM10. Anche qui però si riduce fortemente il ricorso da parte dei cittadini ai mezzi pubblici (101 viaggi per abitante all’anno; nel 2019 erano 190).

Segue Reggio Emilia, passata in quattro anni dal 24° al secondo posto. Il merito è soprattutto dello spazio riservato ai pedoni e alle bici (0,52 mq di aree pedonali e 45,75 metri di piste ciclabili pro capite). I rifiuti restano un grande problema (680 chili pro-capite all’anno), anche se l’84,7% viene riciclato. A chiudere il podio è Mantova, seguita da Cosenza, l’unica città meridionale tra le prime dieci.

In fondo alla classifica troviamo le città che già normalmente non riuscivano a invertire la tendenza: Brindisi, Catania e Palermo.

Salta agli occhi lo zero assoluto (su 10) guadagnato da Brindisi nell’uso del suolo. Penultima è Catania che, sebbene sia la migliore nei consumi idrici (90,8 litri pro-capite al giorno), scopriamo essere tra le peggiori in assoluto per la percentuale di acqua dispersa dalla rete (68,3%) e resta ferma ben al di sotto del 10% di raccolta differenziata dei rifiuti, ultima assoluta con appena il 9,1%. Ultima Palermo, capoluogo regionale siciliano in cui aumenta la produzione di rifiuti che passa dai 578 kg/ab annui della scorsa edizione agli attuali 593, in controtendenza con quanto avviene nella maggior parte delle altre città, oppure nelle auto circolanti che sale dalle 60 (scorso anno) alle 61 auto ogni 100 abitanti.

Un piano per cambiare rotta

Se prima del Covid-19, ad eccezione di alcune punte di eccellenza, molti capoluoghi facevano fatica a implementare le loro politiche ambientali – portato all’attivazione di procedure di infrazione o al pagamento di pesanti sanzioni, per il mancato rispetto delle direttive UE – dopo la pandemia la situazione è peggiorata. I numeri sono per certi versi “impietosi”.

Il Pnrr, però, deve essere visto come una reale opportunità per invertire la rotta nelle città italiane: da Bruxelles sono arrivati i primi 25 miliardi di euro e i ministeri stanno pubblicando i primi bandi per l’assegnazione delle risorse. Poche settimane fa il Ministero della transizione ecologica ha stanziato per i Comuni 1,5 miliardi di euro per i progetti di sviluppo della raccolta differenziata e la realizzazione di impianti di riciclo e altri 600 milioni di euro per iniziative “flagship” per le filiere di carta e cartone, plastiche, RAEE e tessili.

Come ricorda Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, “il problema delle risorse in questa fase di ripartenza dopo le prime ondate del Covid-19 non c’è. La questione centrale sarà la capacità da parte delle strutture tecniche dei capoluoghi di provincia di sottoporre ai ministeri dei progetti adeguati, che rispettino i criteri ambientali stringenti che l’Europa ha imposto all’Italia e agli altri Paesi membri”.

In conclusione, “sarà fondamentale a tal proposito l’affiancamento da parte di strutture tecniche pubbliche centrali per sopperire alla cronica carenza di personale e competenze delle amministrazioni locali, altrimenti il rischio di perdere le risorse europee del Pnrr diventerà drammaticamente realtà. Si deve praticare ogni sforzo possibile perché con le risorse del Pnrr si concretizzi un vero e proprio Piano Urbano di Ripresa e Resilienza con tanti progetti innovativi che arrivano dai capoluoghi”.

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