Intesa a sorpresa tra Cina e Stati Uniti ” lavoreranno insieme per affrontare i cambiamenti climatici”. La dichiarazione congiunta rilasciata nel quadro della Cop26 di Glasgow accende una luce proprio mentre si stava proifilando un esito deludente del vertice. Il documento afferma che entrambe le parti “terranno a mente il loro fermo impegno a lavorare insieme” per raggiungere l’obiettivo di 1,5 gradi stabilito nell’accordo di Parigi e si impegnano a cooperare sugli standard normativi, la transizione verso l’energia pulita, la decarbonizzazione, la “progettazione verde e l’utilizzo delle risorse rinnovabili”. Si impegnano inoltre a contrastare le emissioni di metano. Annunciato anche l’impegno a formare un gruppo di lavoro che si riunira’ regolarmente per discutere le soluzioni climatiche.
Accordi al ribasso e nessun impegno vincolante
Le conclusioni cui giunge il documento appaiono frutto di una eccessiva mediazione che scontenta quasi tutte le parti in gioco. Il documento, infatti, non piace ai grandi inquinatori con piani climatici non allineati all’obbiettivo di 1.5°C, come Cina e India. Russia e Arabia Saudita non gradiscono la menzione dello Zero Netto. All’Australia non piace la frase “eliminazione accelerata del carbone” e i Paesi in via di sviluppo chiedono maggiori dettagli su finanza e aiuti per l’adattamento. Ma soprattutto grande delusione da parte degli attivisti per il target di contenimento del rialzo della temperatura entro i 2°C, lo stesso di sei anni fa, piuttosto che entro e non oltre gli 1,5°C. Per loro, anche ridurre le emissioni di CO2 del 45% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2030 è troppo poco.
I Paesi più ambiziosi avrebbero voluto una data limite al 2050 per le zero emissioni nette al posto del generico “entro la metà del secolo”. Manca di dettagli concreti anche il capitolo dedicato alle “perdite e danni” ovvero ai risarcimenti per le nazioni più povere che già subiscono le conseguenze più dure della crisi climatica e nel documento non ci sono riferimenti specifici a qualsiasi impegno vincolante su tutti i fronti, dal taglio delle emissioni al sostegno finanziario ai Paesi più deboli. Il rischio che il summit possa fallire è concreto, per questo Boris Johnson è rientrato a Glasgow prima del previsto con l’obiettivo di rilanciare i negoziati e arrivare a un accordo. I negoziatori “sono agli ultimi metri per cercare di trasformare le promesse in azione, i più duri”, ha ammesso il Premier britannico.
Boris Johnson tenta la mediazione con i produttori di petrolio. Negoziati difficili
Secondo diverse fonti, è l’Arabia Saudita a ostacolare principalmente la trattativa. Riad, uno dei più grossi produttori al mondo di petrolio, utilizzerebbe tattiche di rinvio procedurali. Per questo, Boris Johnson, rientrato in tutta fretta a Glasgow, ha parlato con il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, sulla necessità di “fare progressi nei negoziati”. Il Premier inglese “ha accolto positivamente l’impegno saudita a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060 e gli sforzi per abbandonare i combustibili fossili”, ma ha anche sottolineato che “tutti i Paesi devono sedersi al tavolo con maggiore ambizione se vogliamo mantenere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 C”. In gioco, avrebbe detto, c’è più del destino “di qualunque singolo Paese”, occorre “unirsi per il pianeta”.