La serenità è una conquista difficile. Ecco che allora ai vecchi è richiesta la virtù dell’equilibrio, di conciliarsi con il proprio presente. Nei Quattro Quartetti Thomas S. Eliot dice che “Nella mia fine è il mio principio, In my end is my beginning”: entrare a fondo nella propria vita vuol dire sentirla mutare un poco ogni giorno e crescere con essa.
Questa dimensione introspettiva ha lasciato oggi lo spazio a un “problema” di massa. È argomento di analisi economica, sociologica, statistica. Mai la percentuale di vecchi è stata alta come oggi: l’Europa invecchia, l’Italia ancora di più. È in gioco l’equilibrio demografico delle nazioni ricche dell’Occidente .
Nella civiltà della tv si fa strada la tentazione di rimuovere i segni della vecchiaia, anche dal proprio corpo. “Invecchiando”, diceva lo scrittore francese Albert Camus, “ognuno è responsabile della sua faccia”, che si chiama così perché la faccio proprio io, con le abitudini contratte nella vita, le amicizie che ho frequentato, gli obiettivi che mi sono dato, le ambizioni che ho inseguito. Perché la faccia della persona matura è un atto di verità. Le “rivincite dei vecchi”, messe in scena in alcune trasmissioni televisive, tolgono perciò onore a quella vecchiaia che in passato si è sempre celebrata.
Il rispetto degli anziani è la sfida dei giorni della grande pandemia. Isolati nei reparti ospedalieri, nelle proprie case, riportano ai nostri occhi la necessità di onorare la vecchiaia. Non averne considerazione, evitarla, temerla o averne pena impoverisce la società nel suo insieme. Sentire parlare di necessità di privilegiare la vita dei più giovani a discapito dei più vecchi produce una pericolosa deriva.
È l’ipocrisia che si fa strada dietro una mentalità dominante: il gruppo deve sopravvivere, se necessario sacrificando gli elementi più deboli. Una vasta opinione pubblica sta accettando il sacrificio dei vecchi come un’ineluttabile scelta perché la specie vada avanti. La commozione si riduce al compiacimento di fronte alla fotografia di due anziani che si salutano da lontano, attraverso i vetri di una Casa di Riposo, ma non va al di là del “like”. La privazione di un saluto, un congedo cui molti anziani sono stati costretti, è stata una pena per famigliari e per loro stessi nel momento della morte. Ma, come ha osservato il filosofo Sebastiano Maffettone, “la morte di chi ha tanta vita alle spalle non ne cancella certo le idee, gli affetti, lo spirito, i legami, le opere anche quotidiane e familiari”. Certo: restano in noi, nel nostro modi di essere, di pensare e di agire. Ma la privazione di quelle vite è un danno per la società.
La fragilità dell’esistenza, resa tangibile dalle colonne di mezzi militari che hanno portato lontano da Bergamo salme di uomini e di donne, spesso anziani, per ritornarvi qualche giorno dopo la cremazione è un monito, una sfida che la politica dovrà affrontare anche in futuro. Sia sul piano economico, sia su quello sanitario e sociale.
Sarà in grado la prossima generazione di governo di individuare un’azione, una visione, di trovare quell’afflato del profeta Gioele quando dice “I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni” (3,1)?
Sarà bene fare il punto più avanti. (4-fine. I precedenti articoli sono stati pubblicati il 06/11/2021, l’08/11/2021 e il 09/11/2021)