giovedì, 21 Novembre, 2024
Società

Una risorsa chiamata vecchiaia

Viaggio tra i valori e la percezione della Terza età (2)

Il mondo moderno ha storicizzato la vecchiaia, rendendo la sua dimensione una questione di rilevanza generale, di economia e bilancio. E non è un caso che le stesse Nazioni Unite abbiano, alcuni anni fa, dedicato un intero anno agli anziani, richiamando l’attenzione dell’intera società sulla situazione di chi deve affrontare questa stagione della vita. Un focus dove spesso è individuabile una lettura sociologica della vecchiaia, identificata come un problema da affrontare e non come una risorsa per le altre generazioni.

Nell’antichità è essenzialmente uno stadio della vita, prima di tutto un fatto intimo, che tocca il rapporto di ogni uomo con il suo destino e con quello delle persone a lui care. Solo in un secondo tempo diventa un questione che riguarda anche gli altri, la società in generale. Occupa un ruolo nella vita attiva e quando il vecchio è troppo indebolito per occuparsi dei problemi del villaggio, insegna ed intrattiene i bambini, tramanda storie e miti. E rinsalda con il suo insegnamento la coesione sociale.

Il vecchio, nella classicità, registra il decadimento della carne e il perfezionamento della vita. Nella Bibbia l’età avanzata raccoglie la benevolenza divina: anziano è Abramo; accanto lui Sara – nel limitare della vecchiaia – sperimenta il prodigio che sconvolge la legge della natura. Anziano è Mosè. Dio gli affida la guida del popolo eletto non nella giovinezza, ma nella vecchiaia. Questo è, nella Bibbia, il tempo favorevole per la grandi gesta, quando la divinità si manifesta nella sua pienezza e quando l’uomo, ricco di esperienza e saggezza, è pronto per le imprese più difficili.

Nel Libro della Sapienza “Vecchiaia veneranda non è la longevità, né si calcola dal numero degli anni; ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza, vera longevità è una vita senza macchia“ (4, 8-9).

Il mondo greco descrive la vecchiaia come parte ineliminabile della vita dell’uomo. Solo gli dei non invecchiano; essi vivono, dice Epicuro, una vita indifferente alla sorte dei mortali.

I greci amavano i concetti e una visione ideale del mondo: una vita che si limita alla giovinezza non è completa, è una statua appena abbozzata. A Sparta la “Gherusia”, il cuore del potere, era formata da vecchi (ghérontes). Omero descrive Nestore, in prima linea nella guerra di Troia, come avanti negli anni e per questo ascoltato con rispetto dagli Achei. Nei “Dialoghi” Platone presenta Parmenide “già vecchio, tutto bianco i capelli, bello e nobile d’aspetto”. Ed è evidente la sua ammirazione per lui.

Nella visione ideale ellenica il culmine delle capacità intellettive, di guida, si raggiunge quando l’esperienza si congiunge ad un vigore fisico e mentale non necessariamente giovanilistico, ma sufficiente ad esprimersi ancora lucidamente. Il perfezionamento prevale sul decadimento; l’amore per la vita supera l’attaccamento ad essa così che Solone (vissuto tra il settimo e il sesto secolo a.C.) può dire: “Invecchio imparando sempre molte cose”. (2-continua)

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